venerdì 27 marzo 2015

I piatti della memoria. CAFFE'LATTE


                                                                 


Fare  bollire  mezzo  litro di acqua, due  cucchiai  di miscela  Leone, uno  di Olandese  e fare  decantare, Con metà  latte  ecco il caffèlatte !

giovedì 26 marzo 2015

bona Pasqua


                                                                   

bona  Pasqua   a   i  me  amis
che  sensa pan   e  sensa  ris
fan  festa  cui  liurtis
suta  a  la  pianta  visin a  i radis
pisan un  foeugu  con  quater  barbis
e  a  qui ca  sensa  sta  insema  e  riunis
cun 'na puntura  venn  in paradis
bona  Pasqua  a  i  me  amis

mercoledì 25 marzo 2015

Il racconto del mercoledi LA SEGHERIA


A Gin piaceva fare il falegname. Era andato a lavorare dal Farioeu a undici anni, dopo le scuole che sua Mamma aveva voluto fargli fare per intero fino alla quinta, Adesso, a quattordici anni era gia operaio, sapendo fare di conto aveva un vantaggio su tutti gli altri. Ogni tanto andava lui a prendere le misure di qualche porta o finestra.

Il Farioeu non parlava mai, non lo complimentava, non lo incoraggiava, però ogni tanto gli affidava dei lavori di responsabilità; fare le misure per un taglio, trovare la tinta giusta, scegliere il legno giusto per un inserto, andare a montare un serramento. Alla sua maniera gli voleva bene. Lo teneva sotto pressione più degli altri, pretendeva molto di più. Tanto che, oramai, era il primo ad arrivare al mattino e l'ultimo ad andare a casa alla sera. Il Farioeu lo trattava come uno di famiglia, gli aveva dato la chiave del cancello nel caso che ( cosa che non succedeva mai ) Gin fosse arrivato prima di lui alla segheria.

Anche se non parlava mai il Farioeu si faceva capire benissimo, con quegli occhi che vedevano tutto e non ridevano mai e i baffi che sembravano elettricì e si muovevano secondo l'umore del momento. Piccolino e magro, sempre con abiti da lavoro, viveva con una vecchia sorella nel cortile dietro la chiesa. E, questo gli andava bene perchè, la gente che andava dal Curato a far suonare la campana a morto, poi passava a casa sua, a qualsiasi ora del giorno, a ordinare la cassa. Le ordinazioni le prendeva anche

la sorella. Sotto al portico c'erano tre differenti casse campione : una in abete, una in pioppo e una in noce con le maniglie in bronzo. Le possibilità economiche e il dispiacere facevano la scelta. Gia anziano, forse sui cinquant'anni, era considerato un buon partito. La segheria la aveva ereditata dal padre, però lui la aveva ingrandita costruendo un capannone sulla strada del vigneto, mettendoci macchinari moderni che funzionavano senza cinghia.

Per paura dei ladri al sabato sera dormiva in segheria su un grosso sacco pieno di trucioli. Non era cattivo, manteneva la sorella, che il padre non aveva mai voluto fare lavorare convinto di poterla sposare con qualche riccone di Milano, la aveva ereditata con la segheria . Tutti avevano soggezione di lui. Non parlava con nessuno e nessuno parlava con lui. I suoi operai, quelli che erano rimasti, una decina, avevano timore di lui. Non diceva mai niente, non  sgridava mai nessuno però lavorava come un pazzo mettendoci metà de tempo dovuto per dire : così si fa ! Le giornate passate in segheria erano per gli operai pesanti come dei sassi , nessuno osava alzare la testa e tantomeno parlare fra di loro. Neanche erano diventati amici fra loro. Finito l'orario di lavoro scappavano tutti come dei topi.

Al Gin invece la segheria piaceva, Gli piaceva il legno, l'odore del legno tagliato, I differenti odori, l'odore del Pioppo, del Rovere, del Pispai, del Ciliegio, del Castagno, del Noce. Gli piaceva toccare il legno, sembrava vivo, non come il ferro freddo come un morto. Era pulito il legno, Quando lo tagliavi cantava, il ferro gridava. Gli piaceva , dopo avere misurato e tagliato, vedere combaciare perfettamente le parti. Dai tronchi impignati in cortile tirare fuori porte finestre, qualche mobile, gli dava una grande soddisfazione.

La segheria era lontana dal paese, in mezzo ai boschi del Rumanin. Andare a piedi ci voleva il suo tempo, una ventina di minuti. Poteva aspettare il Pino e farsi portare sulla canna, ma il Pino arrivava non tardi, ma all'ultimo minuto, se non erano le sette mancava poco, e invece a lui piaceva entrare per primo, accendere la luci elettriche, accendeva la stufa per scaldare la colla, andava al gabinetto dove c'era la luce e l'acqua ed un sapone per lavarsi. C'erano altre case in paese con il gabinetto in casa ma non ne aveva mai visto uno. A casa sua il camar era in fondo al cortile e se era inverno era un dramma. Se ti veniva la diarrea di notte dovevi vestirti e svestirti continuamente, se poi pioveva dovevi metterti gli scarponi

perchè il cortile era un pantano. Però era bello,se pioveva stare accucciato e sentire l'acqua scorrere sul tetto e il vento che voleva aprire la porta che tenevi con la corda. Sui muri e sul pavimento c'erano dei vermi corti e tozzi che si muovevano goffamente. Se era chiaro

aprivi la porta e le galline li mangiavano.

Ogni tanto in segheria veniva il Prete, Don Mario. In chiesa e in canonica c'era sempre qualche lavoretto da fare e il Farioeu lo faceva volentieri. Non dava soldi alla Parrocchia

ma i lavori li faceva a gratis, e in più forniva la segatura da mettere sul pavimento della chiesa quando pioveva e i trucioli per accendere la stufa. Gia da un po' di tempo Don Mario aveva l'abitudine di scambiare qualche parola con Gin, Farioeu non era contento di questo e lo faceva capire alla sua maniera con occhiate che sembravano bastonate. Il Gin diventava rosso e lavorava a più non posso ma il Prete non si accorgeva neanche e parlava, parlava, e il Gin non rispondeva terrorizzato dal Farioeu.

Come tutti anche il Gin alla domenica andava a messa grande. Si alzava mezz'ora dopo il solito perchè era festa, faceva i suoi soliti lavoretti,poi si vestiva della festa e andava in chiesa. Con Don Mario non aveva mai parlato; solamente in confessionale quando per Pasqua

si metteva in fila per la confessione se no era peccato mortale.

E adesso Don Mario ogni volta che veniva in segheria lo cercava e gli domandava delle cose. Se gli piaceva il lavoro se aveva la morosa, se aveva amici, se voleva bene alla sua mamma, perchè non faceva sempre la comunione, se gli piacevano le ragazze, se aveva il vizio di toccarsi. Quando lo vedeva arrivare avrebbe voluto nascondersi, sparire.

Dalla segheria al paese c'erano un paio di Km. la strada passava in mezzo ai boschi lungo il canale, costeggiava il cimitero, saliva sul ponte e scendeva in paese.

Il Gin certi lavori era in grado di farli anche da solo; consegnare un mobile aggiustato, metterlo in bolla e far chiudere bene le antine, montare una porta o una finestra, rimontare la ruote di un carro, aggiustare una serratura. Prendeva il triciclo, caricava le cose da consegnare

la cassetta dei ferri e andava.

Un giorno, fatta la consegna, arrivato a tutta velocità verso il cimitero, giù per la discesa del ponte, fatta la curva su due ruote che tanto era vuoto, si trovò davanti la grande figura nera del Don Mario che gli faceva segno di fermarsi; per schivare il prete andò a finire nel bosco fermandosi tra due pini contro il roveto della sponda del canale, La cassetta del ferri si era rovesciata e tutto il contenuto si era mischiato sul fondo del furgoncino. Il Prete , entrato nel bosco, si era messo tra lui e la strada bloccandolo in mezzo al sambuco e al roveto; voleva che andasse a casa sua ad aggiustare un inginocchiatoio che dondava

e che sembrava che stesse per aprirsi, Il Gin, pensando al disastro dei ferri rovesciati sul fondo del furgoncino con tutte le viti e i chiodi divisi per grandezza e ormai mischiati assieme, al lungo lavoro fuori orario che lo aspettava per rimettere tutto in ordine, a quello che avrebbe pensato di lui il Farioeu, rimase muto. Tutto a un tratto il prete si girò e cominciò

a pisciare. Finito di pisciare tirò giù completamente i pantaloni e si girò: se lo trovò davanti

con la sottana interamente sbottonata; non aveva mica pisciato, ce lo aveva duro; duro e grosso con peli rossicci,  si senti il frusciare di biciclette e poi il parlare di donne. Due donne stavano andando al cimitero con delle Dalie in mano e delle borse appese al manubrio da cui uscivano le canne dei d'acquadori. Il Prete si ricompose velocemente e , più velocemente ancora, il Gin tirò il furgoncino sulla strada. Saltò su e si mise a pedalare come un pazzo.

Quando entrò in segheria il Farioeu gli si fece incontro con i baffi che vibravano, Gin gli disse che si era rovesciato in curva però non aveva perso niente, aveva recuperato tutto e che sarebbe stato lì oltre orario a mettere a posto la cassetta dei ferri. Farioeu soffiò due volte con il naso come un cavallo e si allontanò disgustato.

Dire quello che gli era capitato non era neanche da pensare, gli  Anziani avevano sempre ragione.il Prete...poi.

Lavorò fino a tardi. Rimise negli scompartimenti i chiodi, le viti, uno per uno per qualità.

Da quel giorno cominciò a fare la strada in compagnia. Si incamminava ancora presto ma prima del ponte aspettava che arrivasse qualcuno per fare la strada assieme. Alla sera, come gli altri, si lavava le mani di corsa e partiva in compagnia. Ogni volta che passava davanti ai pini guardava dentro e rivedeva.

Un giorno Farioeu disse a Gin di andare col furgoncino in Canonica a prendere un inginocchiatoio da aggiustare. Gin rimase imbambolato, rosso come un gambero, paralizzato vicino alla bindella; rifiutarsi di andare non era neanche da pensare ma lui dal Prete non voleva andarci. Era là con in mano un  asse,la bindella che girava, bloccato dal panico, incapace di decidere cosa fare. Farioeu lo vide fermo e gli si avvicinò e senza la abituale durezza gli chiese : perchè ? E gin disse cosa aveva fatto il Prete, che la cassetta dei ferri

l'aveva rovesciata per schivare il Prete che si era messo in mezzo alla strada, che il Prete aveva tirato giù i pantaloni e che era riuscito a scappare perchè erano passate due donne che stavano andando al cimitero, e che lui non voleva andare a casa del Prete, che aveva paura.

No. No. Non andare dal  Prete. Vai avanti col tuo lavoro. E stai tranquillo.

Gin tornò il ragazzo di prima. Ritornò la contentezza del lavoro, il piacere di costruire. Riprovò la sensazione di benessere che gli dava lo stare dentro la segheria, Sentire l'odore

del legno tagliato, l'odore acre della tinta quando sullo straccio imbevuto veniva tirata sul legno, l'odore dolce della colla bianca, l'odore pungente della pece sulle cinghie quando slittavano. E l'odore della stufa di  terracotta a quattro piani.

Poi una mattina sul presto, col Sole che entrava dalla porta, vide Don Mario, preceduto dalla sua lunga ombra, che si stava avvicinando a lunghi passi. Non ebbe neanche il tempo di avere paura che il Farioeu, preso un listello di faggio, che di solito usava per i cani randagi, si avvicinò di corsa al Prete e cominciò a bastonarlo. Il Prete tentò di difendersi parando i colpi con le braccia poi scappò con la sottana che svolazzava, inseguito dal Farioeu fino al cancello dove gli tirò l' ultimo colpo.

domenica 22 marzo 2015

cui di d'estaa


                                                              

Cui  sir d'estàa
finì  ul lauraa  in uficina prima  da  'ndà  a  la  vigna
mordi  pan  e  scigula  e  bee  un  fia  da  acqua  fresca  da  pusu
ta fea  curagiu
la  giurnaa  l'ea   quasi  finì
anca ul  regiu  a  videmi  riaa  l'ea  cuntentu
dandu  un fiaa  a  la  fiascheta  che   me  mama la mea priparaa  par  lu
un  atim l'ea  scur  e  sa  'ndea  a  ca
scundu  fra  l'uficina   e  la  vigna
g'hea  la  giuventù.

venerdì 20 marzo 2015

I PIATTI DELLA MEMORIA salsa verda



                                                                 

un  bel  masetu da  presemul taià  fin  fin  cun la  mesaluna una  nus   da  pan  bagnaa  i 'n  du  l'ase 'na  fetina  d'ai   triaa 4- 5 caperi  'na  ciugha un oeu  indui sa  e  oli

mercoledì 18 marzo 2015

Racconto del mercoledì CARLIN DA ULEGG


                                                                
              
Alla domenica sera si andava a ballare. A parte

il mese che si andava a Mondine,a mondine si andava anche il sabato,il resto dell'anno a ballare si andava solo alla domenica sera. A ballare si andava anche nei matrimoni e,ogni tanto nelle rarissime feste a casa di qualcuno.

Alla domenica sera si andava o a Oleggio in moto,io andavo con il Guzzino del Barziga mio

grande amico,quasi sempre a Oleggio. Anche Oleggio era un posto pericoloso c'era sempre da far botte ma noi siamo stati fortunati:una delle prime volte,in un posto che si chiamava Teatro perchè era un teatro,il teatro dove ho visto un giovane cantante che si chiamava Adriano Celentano,una sera eravamo a bere al Bar del Teatro in una sosta del ballo,quando un piccoletto con due grosse spalle ci urtò tutt'e due in un colpo solo facendoci rovesciare il samuer che stavamo bevendo. Barziga mi guardò mentre posava il suo bicchiere e disse:cerca rogne e,posato il bicchiere,visto che ce lo aveva lui nella posizione giusta gli mollò un sganassone con tutta la forza che aveva. Il piccoletto con grosse spalle toccò terra prima con la testa e poi con i piedi,dopo la solita gente che voleva tenere quello che voleva spaccare tutto,riferito al piccoletto perchè noi eravamo da soli, si andò a bere in compagnia del piccoletto. Si chiamava Carlin,ed era il terrore del paese talmente era cattivo,e forte,e capace,e tosto. La sua fama se l'era fatta sulla strada,cresciuto a sberle e pedate nel culo era uno di poche parole,un tipo sbrigativo anche nel parlare,

una persona che apprezzai tantissimo e diventammo amici. Un paio di mesi dopo ci invitò a casa sua, a cena, e conoscemmo anche sua mamma che era una vedova di guerra e aveva cresciuto il bambino da sola. Da quella sera a Oleggio ci rispettarono tutti,anche se eravamo soli con noi c'era,invisibile, il Carlin, il suo carisma ci proteggeva da tutti i giovani che tornati in paese verso le undici di sera cercavano di litigare e fare a botte umiliati dalle ragazze che ballavano con i Lombardi che con qualche soldo in più in tasca potevano offrire loro una gazosa.

Con noi c'era sempre la presenza del Carlin.

Il Barziga fece la morosa,si chiamava Nelluska,ma quando la presentò a sua mamma a lei non piaceva e non se ne fece niente. A me piaceva,a parte il fatto che a quei tempi le ragazze mi piacevano tutte,ma lei mi piaceva come amica,e come morosa del mio amico. Alta e snella, con due occhi che sembravano deu pincirò d'uga, era, e a quei tempi era cosa rara,elegante di natura,anche vestita di stracci sembrava una signora. Adesso ha un Ristorante a Meina,sul lago Maggiore.

Ma per tutti a Castano c'era il Conte Rosso. Un camion che durante la settimana era il camion dei muratori e la domenica,dopo una scopata alla bellemeglio, serviva come prototipo di un mezzo di trasporto per andare a ballare. Era un camion aperto con le sponde rosse, si stava in piedi. Partiva alle 20.30,dalla osteria Primavera dove vendevano anche i biglietti,che costavano 15 £. Partiva ogni domenica con qualsiasi tempo,aveva le sponde rosse e lo chiamarono Conte rosso. Per il ritorno l'orario era incerto: quando c'erano tutti,e l'operazione non era facile, contarsi a una cert'ora è cosa laboriosa, si tornava. In piedi,uno contro l'altro, per pisciare uno si spostava su un lato e pisciava fuori mentre il camion andava. Lo stesso per vomitare. Quando si arrivava vicino al paese si cominciava a cantare,qualsiasi canzone andava bene uno cominciava e gli altri seguivano,in paese tutti sapevano che erano tornati: loro cantavano e i cani abbaiavano.

Poche ore di sonno ed era lunedì,il Conte Rosso diventava il camion dei muratori,e riprendeva il suo lavoro di sterro.

lunedì 16 marzo 2015

la Fer


                                                               

ghè  rivaa  la  Fer
ma  ragordu  qui  Fer  a  Castan
cuann  ca  steu  da giuin
cun  ul Pes  fritu  e  la pulenta
e  i  udur  ca  sa  sintia  in piasa
e  i  banchi  ca  fean  la tiraca
e  la  fean  tirandula   su 'n pal  dul  barachin
spuandu  su i ' man  intantu  ca la tirean
Ul  Cantastori  cul  can  ca  'l  fea  ul  gir cun ul  capel  in buca
a tiràa  su i uferti
e  la  tuseta  ca la  vindea  i  lameti  
a  la  genti in gir  a  scultà la  storia
la  fisa  cà  sunea
e  vun  cui  barbis c'al  girea  i  figur pe  fa  capii la  storia
qui  ca  vindea ul  grass  da  Marmota c'al curea  tucc i  dulur
cun la  scimia  liga  cul  cular  ca  la  sultea  su  e giò
Ul circulun  piin  da  genti  ca la   mangea la  roba  cumpraa  a   la  Fer
i  banchi
i banchi
i banchi

venerdì 13 marzo 2015

I PIATTI DELLA MEMORIA

LA  RUSTIDA
                                                                      
Una  voeulta   all'ann  sa  masea  ul  Purscell
e  l'ea  'na  festa  in da  la  festa
dree  sira  i  donn  pisean un  foeugu  in mesu  a  la  curti
e  mitean  su  ,na  padela  da  fer  grosa  cui  bordi  bass
e  taiean  den 4-5  scigull, 4-5  carotul,  doeu  gambi  da  selar 
e i udur da l'ortu
tustaa  i  scigull  mitean  dentu i  ritai ca   l'ea  scartà ul masular
subitu ul  prufum 'n dea  in tuta  la cuntraa
i  Gati  e  i  Can  diventean  mati
ul masular  fini  da  insacaa  'l  nitea e 'l  sa laea
un taul  lungu  in mesu  a la  curti fai  cui  ass  da punti
l'ea  a   se   anca par quii   da  la  cuntraa
ul  sidel  dul  Bragioeu  taca  su   suta  la  scaia  da  casina cul  casù
e  sa  'ndea  a  servis  ma  sa voeurea
ai  Regiù 'l  vin  ga  'l purteann  i  donn
e  sa  cantea.

mercoledì 11 marzo 2015

Racconto del mercoledì AMICI ALCOOLICI





Avevo degli amici alcoolici, ci si trovava alla  domenica mattina all'albergo “Due Spade”per l'aperitivo. Noi fissi eravamo in quattro, ma tutti potevano aggiungersi,uno diceva: un giro lo pago io, e ordinava un aperitivo di suo gradimento. E si bevevano cose orribili, dal Bianco Sarti, al Pernod, alla Maria Stuarda, che era un aperitivo creato dal barista,ma sul momento, e non era mai uguale, comunque a base di Martini Rosso e Gin, a me non piaceva ma andava giù. Prima di andare a casa la media era di non meno di 12 aperitivi a testa. Ognuno andava casa a mangiare e faceva un breve sonnellino. Poi io il Terry e Cis, andavamo da Arturo che teneva una specie di Pizzeria, un locale lungo e stretto, l'ultimo tavolino era il nostro, e ci portava una cassetta di Campari soda, e noi tre, con calma e metodo, a uno per volta bevevamo la cassetta di Campari, i Campari nella cassetta sono messi

uno in piedi e uno capovolto e ce ne stanno 100, per i vuoti ci vogliono due cassette. Avevamo due cassette per i vuoti e una piena.

Eravamo l'attrazione del locale,veniva gente per vederci bere 100 Campari in tre.

Una domenica vennero due nostri “amici” di un altro bar: Jumin e Spiota. Presero il tavolino vicino al nostro e ordinarono una cassetta di Campari, in DUE ! Arturo portò la cassetta di Campari soda e due cassette per i vuoti

Era una sfida evidente, fra Bar diversi non c'era buon sangue.

Pensammo subito che uno di noi doveva andarsene per stare alla pari ma non riuscimmo a stabilire chi. Ma tanto avevamo perso!

Jumin e Spiota fecero fuori tutti e cento i Campari e uscirono con le proprie gambe.

Non andammo più da Arturo a bere i Campari.

A proposito di Campari mi viene in mente una cosa. A Castano si erano fermati dei tedeschi venuti in ferie,stavano andando a casa e si erano fermati a Castano perchè l'anziano aveva conosciuto uno del paese,che adesso non c'era più e si erano fermati al Due Spade,che faceva anche alloggio, già da un giorno erano su un tavolino fuori in piazza a bere birra gli uomini e il bottiglione di bianco le donne. Essendo della stessa razza,cioè bevitori, era destino fare compagnia e stare sullo stesso tavolino. Nostro desiderio era vedere qualche Tugnitt ciucco, maschi o femmine. Ma non c'era verso. Cambiammo vino andando sul Rosso, bevevano tutto e senza nessun effetto, non si riusciva a vederne uno ciucco. Partivano domenica,verso le 8.30.

Ci alzammo presto per andare a salutarli, e per salutarci ordinammo dei Campari soda. Quando capimmo che non conoscevano il Campari,capimmo che non sarebbero partiti. Buono questo Campari,dicevano, al secondo facevano fatica a dire la parola, al terzo chiedevano: come si chiama? Al terzo parlavano solo tedesco.

Partirono al lunedì, di mattina presto.

Il lunedì si faceva meditazione, e il Terry parlava italiano, quando beveva parlava francese, il martedi era la sera di Bigun, che era un nostro amico barista del Due Spade,e che adesso aveva un bar dove finiva la strada della Lucia. Andavamo là, e il Terry e Cis per non litigare ordinavano ognuno la sua bottiglia di wiski, a me l'Wiski non piaceva e bevevo una bottiglia di Martini Dry, anche perchè uno sobrio ci voleva.

Con il Cis andavo a prendere il vino a Gattinara e per assaggiarlo bevevamo sul posto dalle tre alle quattro bottiglie.

Quando si andava al Ristorante, ad es. in due, ci volevano dalle due tre bottiglie a testa,e dopo si assaggiavano le grappe della casa. Tutte.

Avevo degli amici che bevevano.

Ma i paesi hanno delle abitudini diverse. Quando sono arrivato a Buscate, avendo bisogno di un locale per la sede Avis e il Circolo lo aveva, sono andato al Circolo per parlare con il presidente,alla sera dopo il lavoro.

Sono appena usciti, sono andati al Circolino,sempre del Circolo ma all'altra parte del paese,mi disse il gestore del Circolo, dove c'era un bar e una salumeria.

Il Presidente era là con i suoi amici, appoggiati al bancone. Ciao-dico- ho bisogno di parlarti. Pepin Bula, il Presidente disse al gestore al banco: voian giò un'alter, a mi trovai davanti una tazza di vino. Sulla tazza di vino ci sono alcune cose da dire: le tazze erano tutte uguali, in qualsiasi circolo andavi c'erano la stesse tazze e rigorosamente di un quarto. E dovevano essere riempite all'orlo. IL vino era buono,Pugliese, di Trani o di Barletta. Corposo, lo potevi

tagliare con il coltello,13 gradi e mezzo. Erano in quattro e io cinque. Due giri,per un totale di due litri e mezzo a testa, prima di cena.

Scoprii dopo che era abitudine dei “clienti” del Circolo fare di questi aperitivi. Solo vino,però. Eccezionalmente

bevevano qualche grappa ma mai più di 4 o 5.

Un giorno, avevo organizzato una gita a Mantova,il Pulmann si fermò in piazza S,Giorgio proprio vicino a una portina di una osteria, gli uomini entrarono tutti. Era un posto bellissimo,freschissimo per dei muri di un metro di spessore. C'era un bianco secco che non sapeva di niente come gradi ma di buon sapore.

Alla partenza si era deciso di fare cassa comune e di affidare la cassa a me, perchè bevevo meno.

Non mi ricordo il numero esatto ma degli uomini era di sicuro meno di venti, le donne e i bambini,dopo un caffè, si erano sparpagliati in giro per Mantova.

Noi tirammo mezzogiorno,il Ristorante era vicino,in piazza Ducale, pagai il conto di 38 litri di vino e andammo a mangiare.

A mangiare eravamo in 36,tolti donne e bambini:18 uomini, ho ancora il conto, da bere c'era il Bardolino( metà acqua e metà vino, così si diceva da noi riferendosi al basso grado alcoolico) e, non so se per questo, nel pranzo c'era il conto di 56 litri di vino,in caraffe da un litro.

Nel viaggio di ritorno si comiciò a sentire odore di pesce, le donne lo sentirono, fino a quando tirarono fuori da sotto i sedili tutti i pesci della fontana di Piazza Ducale.

Un ultimo dell'anno lo passammo da Sandrun alla casa delle barche, io avevo portato Nagen, a casa da solo.

Quando venne mezzanotte guardando le persone da salutare, non trovai Nagen. Nel locale non c'era. Uscii a cercarlo.

Sandrun è in mezzo ai boschi,cominciai a gridare: Nagen! Nagen! Dopo un po che chiamavo sentii una voce: sono qua! Lo trovai e con le buone lo convinsi a venire a casa, con fatica lo misi nella mia macchina,a quei tempi avevo una 500 grigia, e dopo varie peripezie lo misi in macchina,poi salii in macchina per andare a casa, e mi trovai dalla parte sbagliata,dalla parte della guida avevo messo lui !

Il giorno dopo, primo dell'anno trovai Nagen alla'Americana,mi si avvicinò e disse: scusa se non sono venuto ieri ma...

Quando lo avevo preso alle nove era già ciucco.

A Cis era andata peggio: aveva la Giusi e per la nebbia non si vedeva niente, arrivò in un paese che non conosceva e saggiamente si fermò.

Dormirono.

Quando si svegliò si accorse di essere fermo vicino alle scuole,di Castano. A poche centinaia di metri da casa sua.

Di noi tre, il Terry non c'è più, ultimamente quando usciva,al bar beveva solo aranciata, e l'aranciata si sa fa male.

Erano tempi alcoolici.

Di questa storia non c'è neanche un bicchiere in più o in meno. Posso aggiungere altre storie quando mi verranno in mente.

sabato 7 marzo 2015

me Nonu


                                             
Som nasù a Milan

ogni ann 'n deu a S.Giorgiu a truaa me Nonu

me mama la duea videe tuci i so parenti

me Nonu 'l fea 'l cavalanti

el ghea un Caval gross e un car gross e 'l purtea 'l carbun

el rivea a la sira stracu e nervus

magar e piscinin bafì lunghi e spurchi

'l sa lavea in mesu a la curti

poeu tucc in ca a mangià in d'una stansa granda cun i cadreghi spaia

lù a caputaula e i so fioeu

'na vintena

cumudàa su du taul danansi

a la duminiga g'hea patati e versi cun denn un salamin
'l salamin a lù patati e versi a noeun

Dopun mangià una dumeniga al ma dìi vegn insema a mi

som andàa a la vigna

ti ca te se da Milan

ta disu 'na roba a ti ca ta studi

ricordas la tera

e in man 'l ghea un pugn da tera

ricordas num vegnum da chi e chi tornum indree

turnàa a Milan vureu dighi al me amis Elio la parabula del Nonu

ma hu truaa no ul pugn da tera

venerdì 6 marzo 2015

me Pà


                                                                    

me Pà  'l  sea  i posti
'l  cunusea  i  surgenti  da  acqua   fresca
i  saur  diversi e 'l ma  spiegea 'l parchè
'n dua   ghea i Temul e i pes Persighi
e  u  do  spiageti  cun  i gamber  ca sa  videa  suta la  sabia  e  dul  stess  culur
ca  a fai  cos  vignian  russ
ma 'l  sea  tanti  robi
al  sea  nò  l'italian
ma  tucc  i altar  robi  i a  sea
l'ea  bel  andà  sul Marinun
traversandu ul  buscu  da   castegn
me  Pà il  caminea  pian
ma  feu fadiga  a stagh  a  dree
me Pà 'l  paroea  mai  ma  'l sa  fea  capì

Ogi da Madona


                                                                    

In no i stell

ul foeugu du l'accendin

o i Can ca 'n da la noci

la vus la par pusé luntana pa 'l scur

lé no u scur dul portigu

o i lusioeur ca sa vedi su la rudera

'l Can ca 'l sta stirà in mesu a la curti

o l'umbria ca 'l fa ul figu cun la Luna

pin da Gain su a durmì

in nò i Piun ca piuna su la casina

o ul Gatu ca 'l sa frega cuntra la me gamba

l'é no ul murmurà di donn cul cadrighin suta 'l purtun

son lì imbalsamà a pinsà a lée

al so udur

ai so ogi da Madona

la sira da la curti l'ea impinì

dul ricordu d'un para d'ur prima
 
 

mercoledì 4 marzo 2015

Racconto del mercoledì LA CUCINA


                                                    

 
 
Nel cortile si entrava dal portone,appena dentro sulla sinistra

c'era subito un lavandino di sasso con il rubinetto di ghisa grosso che faceva uscire un grosso getto d'acqua che serviva a

tutte le famiglie, dopo il lavandino c'era la mia famiglia poi,

in posizione centrale c'erano i Todaro,veneti di Arquà Petrarca,

sul fondo i Ramponi. Sull''angolo la scala che con due rampe

portava sulla ringhiera delle stanze.

Entrati nel cortile girando a destra c'erano due stalle senza portico poi sul lato opposto alle case un grande portico e una

grande stalla,con due vacche e due cavalli; sul muro di fronte

due piccole finestrelle su in alto e sotto contro il muro il pollaio più a destra,vicino al portico la latrina e, in mezzo fra il pollaio

e la latrina, il letamaio. Nel cortile cani gatti tacchini anatre e

qualche chioccia con il codazzo di pulcini.

Nella casa dabbasso,di fronte un grande camino, d'inverno

sempre in funzione, sul muro di destra due ganci che uscivano

per i secchi dell'acqua e del vino, ma il vino solo alla festa; sul

primo angolo un piccolo tavolo con le posate lavate o da lavare e

sopra decine di chiodi con appese padelle di varie misure,sotto

al tavolo un grosso padellotto di alluminio che serviva al sabato

per cuocere la testa di mucca che dava il macellaio in cambio

dei conigli e che tutti in giro con il coltello mangiavano sul

tavolo grande,avanzando il cranio che poi sotterravano alla

vigna. A sinistra del camino, impignata fra camino e muro, un

mucchio di legna spaccata. Lungo il muro una “marneta” per

il pane giallo che cuocevano il venerdì, con i grossi pani appoggiati uno all'altro, a coperchio chiuso era una cassapanca.

Il pane si impastava sul piano di legno del tavolo grande,e lo facevano sempre le donne;quando,per caso, quelle di casa erano

malate,o incinte,venivano altre donne del cortile. Sulla sinistra,

dopo la porta,c'erano degli armadietti dove mettevano le cose

che ci volevano ogni tanto come la linusa,il semolino,nastri per capelli,stringhe,barattoli di farina bianca, la tintura di iodio e

l'alcool disinfettante, un paio di rotoli di bende e un boccettino

di olio di ricino.

martedì 3 marzo 2015

Custansa


                                                                                   

icurdàs  Custansa
in mesu  al praa  da  nebia
'n dua  'n dean a  trutà  i Cavai  fra  i  do  nos  caa
l'è  sta bel
ma  l'é  sta  brutu
ul  gel  'n  di  cavei e  i gambi   biuti
somm  vignu  grandi in un mumentu   sensa  acorgias
ma  l'é  sta  bel
e  l'é  sta  brutu
somm  andaa  in  dul  praaa   fioeu  e  somm vignù  fora  grandi
ricurdàs  Custansa
te  se  persa  in  'a   nebia  Custansa
cun la  me infansia  e  i   me  sogn
me  restaa  la  nebia  'n  di  cavei
e  ul  ricordu  dun treno   cal  sunea  pasandu  da  là  da  ca  tua.