mercoledì 25 marzo 2015

Il racconto del mercoledi LA SEGHERIA


A Gin piaceva fare il falegname. Era andato a lavorare dal Farioeu a undici anni, dopo le scuole che sua Mamma aveva voluto fargli fare per intero fino alla quinta, Adesso, a quattordici anni era gia operaio, sapendo fare di conto aveva un vantaggio su tutti gli altri. Ogni tanto andava lui a prendere le misure di qualche porta o finestra.

Il Farioeu non parlava mai, non lo complimentava, non lo incoraggiava, però ogni tanto gli affidava dei lavori di responsabilità; fare le misure per un taglio, trovare la tinta giusta, scegliere il legno giusto per un inserto, andare a montare un serramento. Alla sua maniera gli voleva bene. Lo teneva sotto pressione più degli altri, pretendeva molto di più. Tanto che, oramai, era il primo ad arrivare al mattino e l'ultimo ad andare a casa alla sera. Il Farioeu lo trattava come uno di famiglia, gli aveva dato la chiave del cancello nel caso che ( cosa che non succedeva mai ) Gin fosse arrivato prima di lui alla segheria.

Anche se non parlava mai il Farioeu si faceva capire benissimo, con quegli occhi che vedevano tutto e non ridevano mai e i baffi che sembravano elettricì e si muovevano secondo l'umore del momento. Piccolino e magro, sempre con abiti da lavoro, viveva con una vecchia sorella nel cortile dietro la chiesa. E, questo gli andava bene perchè, la gente che andava dal Curato a far suonare la campana a morto, poi passava a casa sua, a qualsiasi ora del giorno, a ordinare la cassa. Le ordinazioni le prendeva anche

la sorella. Sotto al portico c'erano tre differenti casse campione : una in abete, una in pioppo e una in noce con le maniglie in bronzo. Le possibilità economiche e il dispiacere facevano la scelta. Gia anziano, forse sui cinquant'anni, era considerato un buon partito. La segheria la aveva ereditata dal padre, però lui la aveva ingrandita costruendo un capannone sulla strada del vigneto, mettendoci macchinari moderni che funzionavano senza cinghia.

Per paura dei ladri al sabato sera dormiva in segheria su un grosso sacco pieno di trucioli. Non era cattivo, manteneva la sorella, che il padre non aveva mai voluto fare lavorare convinto di poterla sposare con qualche riccone di Milano, la aveva ereditata con la segheria . Tutti avevano soggezione di lui. Non parlava con nessuno e nessuno parlava con lui. I suoi operai, quelli che erano rimasti, una decina, avevano timore di lui. Non diceva mai niente, non  sgridava mai nessuno però lavorava come un pazzo mettendoci metà de tempo dovuto per dire : così si fa ! Le giornate passate in segheria erano per gli operai pesanti come dei sassi , nessuno osava alzare la testa e tantomeno parlare fra di loro. Neanche erano diventati amici fra loro. Finito l'orario di lavoro scappavano tutti come dei topi.

Al Gin invece la segheria piaceva, Gli piaceva il legno, l'odore del legno tagliato, I differenti odori, l'odore del Pioppo, del Rovere, del Pispai, del Ciliegio, del Castagno, del Noce. Gli piaceva toccare il legno, sembrava vivo, non come il ferro freddo come un morto. Era pulito il legno, Quando lo tagliavi cantava, il ferro gridava. Gli piaceva , dopo avere misurato e tagliato, vedere combaciare perfettamente le parti. Dai tronchi impignati in cortile tirare fuori porte finestre, qualche mobile, gli dava una grande soddisfazione.

La segheria era lontana dal paese, in mezzo ai boschi del Rumanin. Andare a piedi ci voleva il suo tempo, una ventina di minuti. Poteva aspettare il Pino e farsi portare sulla canna, ma il Pino arrivava non tardi, ma all'ultimo minuto, se non erano le sette mancava poco, e invece a lui piaceva entrare per primo, accendere la luci elettriche, accendeva la stufa per scaldare la colla, andava al gabinetto dove c'era la luce e l'acqua ed un sapone per lavarsi. C'erano altre case in paese con il gabinetto in casa ma non ne aveva mai visto uno. A casa sua il camar era in fondo al cortile e se era inverno era un dramma. Se ti veniva la diarrea di notte dovevi vestirti e svestirti continuamente, se poi pioveva dovevi metterti gli scarponi

perchè il cortile era un pantano. Però era bello,se pioveva stare accucciato e sentire l'acqua scorrere sul tetto e il vento che voleva aprire la porta che tenevi con la corda. Sui muri e sul pavimento c'erano dei vermi corti e tozzi che si muovevano goffamente. Se era chiaro

aprivi la porta e le galline li mangiavano.

Ogni tanto in segheria veniva il Prete, Don Mario. In chiesa e in canonica c'era sempre qualche lavoretto da fare e il Farioeu lo faceva volentieri. Non dava soldi alla Parrocchia

ma i lavori li faceva a gratis, e in più forniva la segatura da mettere sul pavimento della chiesa quando pioveva e i trucioli per accendere la stufa. Gia da un po' di tempo Don Mario aveva l'abitudine di scambiare qualche parola con Gin, Farioeu non era contento di questo e lo faceva capire alla sua maniera con occhiate che sembravano bastonate. Il Gin diventava rosso e lavorava a più non posso ma il Prete non si accorgeva neanche e parlava, parlava, e il Gin non rispondeva terrorizzato dal Farioeu.

Come tutti anche il Gin alla domenica andava a messa grande. Si alzava mezz'ora dopo il solito perchè era festa, faceva i suoi soliti lavoretti,poi si vestiva della festa e andava in chiesa. Con Don Mario non aveva mai parlato; solamente in confessionale quando per Pasqua

si metteva in fila per la confessione se no era peccato mortale.

E adesso Don Mario ogni volta che veniva in segheria lo cercava e gli domandava delle cose. Se gli piaceva il lavoro se aveva la morosa, se aveva amici, se voleva bene alla sua mamma, perchè non faceva sempre la comunione, se gli piacevano le ragazze, se aveva il vizio di toccarsi. Quando lo vedeva arrivare avrebbe voluto nascondersi, sparire.

Dalla segheria al paese c'erano un paio di Km. la strada passava in mezzo ai boschi lungo il canale, costeggiava il cimitero, saliva sul ponte e scendeva in paese.

Il Gin certi lavori era in grado di farli anche da solo; consegnare un mobile aggiustato, metterlo in bolla e far chiudere bene le antine, montare una porta o una finestra, rimontare la ruote di un carro, aggiustare una serratura. Prendeva il triciclo, caricava le cose da consegnare

la cassetta dei ferri e andava.

Un giorno, fatta la consegna, arrivato a tutta velocità verso il cimitero, giù per la discesa del ponte, fatta la curva su due ruote che tanto era vuoto, si trovò davanti la grande figura nera del Don Mario che gli faceva segno di fermarsi; per schivare il prete andò a finire nel bosco fermandosi tra due pini contro il roveto della sponda del canale, La cassetta del ferri si era rovesciata e tutto il contenuto si era mischiato sul fondo del furgoncino. Il Prete , entrato nel bosco, si era messo tra lui e la strada bloccandolo in mezzo al sambuco e al roveto; voleva che andasse a casa sua ad aggiustare un inginocchiatoio che dondava

e che sembrava che stesse per aprirsi, Il Gin, pensando al disastro dei ferri rovesciati sul fondo del furgoncino con tutte le viti e i chiodi divisi per grandezza e ormai mischiati assieme, al lungo lavoro fuori orario che lo aspettava per rimettere tutto in ordine, a quello che avrebbe pensato di lui il Farioeu, rimase muto. Tutto a un tratto il prete si girò e cominciò

a pisciare. Finito di pisciare tirò giù completamente i pantaloni e si girò: se lo trovò davanti

con la sottana interamente sbottonata; non aveva mica pisciato, ce lo aveva duro; duro e grosso con peli rossicci,  si senti il frusciare di biciclette e poi il parlare di donne. Due donne stavano andando al cimitero con delle Dalie in mano e delle borse appese al manubrio da cui uscivano le canne dei d'acquadori. Il Prete si ricompose velocemente e , più velocemente ancora, il Gin tirò il furgoncino sulla strada. Saltò su e si mise a pedalare come un pazzo.

Quando entrò in segheria il Farioeu gli si fece incontro con i baffi che vibravano, Gin gli disse che si era rovesciato in curva però non aveva perso niente, aveva recuperato tutto e che sarebbe stato lì oltre orario a mettere a posto la cassetta dei ferri. Farioeu soffiò due volte con il naso come un cavallo e si allontanò disgustato.

Dire quello che gli era capitato non era neanche da pensare, gli  Anziani avevano sempre ragione.il Prete...poi.

Lavorò fino a tardi. Rimise negli scompartimenti i chiodi, le viti, uno per uno per qualità.

Da quel giorno cominciò a fare la strada in compagnia. Si incamminava ancora presto ma prima del ponte aspettava che arrivasse qualcuno per fare la strada assieme. Alla sera, come gli altri, si lavava le mani di corsa e partiva in compagnia. Ogni volta che passava davanti ai pini guardava dentro e rivedeva.

Un giorno Farioeu disse a Gin di andare col furgoncino in Canonica a prendere un inginocchiatoio da aggiustare. Gin rimase imbambolato, rosso come un gambero, paralizzato vicino alla bindella; rifiutarsi di andare non era neanche da pensare ma lui dal Prete non voleva andarci. Era là con in mano un  asse,la bindella che girava, bloccato dal panico, incapace di decidere cosa fare. Farioeu lo vide fermo e gli si avvicinò e senza la abituale durezza gli chiese : perchè ? E gin disse cosa aveva fatto il Prete, che la cassetta dei ferri

l'aveva rovesciata per schivare il Prete che si era messo in mezzo alla strada, che il Prete aveva tirato giù i pantaloni e che era riuscito a scappare perchè erano passate due donne che stavano andando al cimitero, e che lui non voleva andare a casa del Prete, che aveva paura.

No. No. Non andare dal  Prete. Vai avanti col tuo lavoro. E stai tranquillo.

Gin tornò il ragazzo di prima. Ritornò la contentezza del lavoro, il piacere di costruire. Riprovò la sensazione di benessere che gli dava lo stare dentro la segheria, Sentire l'odore

del legno tagliato, l'odore acre della tinta quando sullo straccio imbevuto veniva tirata sul legno, l'odore dolce della colla bianca, l'odore pungente della pece sulle cinghie quando slittavano. E l'odore della stufa di  terracotta a quattro piani.

Poi una mattina sul presto, col Sole che entrava dalla porta, vide Don Mario, preceduto dalla sua lunga ombra, che si stava avvicinando a lunghi passi. Non ebbe neanche il tempo di avere paura che il Farioeu, preso un listello di faggio, che di solito usava per i cani randagi, si avvicinò di corsa al Prete e cominciò a bastonarlo. Il Prete tentò di difendersi parando i colpi con le braccia poi scappò con la sottana che svolazzava, inseguito dal Farioeu fino al cancello dove gli tirò l' ultimo colpo.

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