A Gin piaceva fare il falegname. Era
andato a lavorare dal Farioeu a undici anni, dopo le
scuole che sua Mamma aveva voluto fargli fare per intero
fino alla quinta, Adesso, a quattordici anni era gia operaio,
sapendo fare di conto aveva un vantaggio su tutti gli
altri. Ogni tanto andava lui a prendere le misure di qualche
porta o finestra.
Il Farioeu non parlava mai, non
lo complimentava, non lo incoraggiava, però ogni tanto gli
affidava dei lavori di responsabilità; fare le misure per un
taglio, trovare la tinta giusta, scegliere il legno giusto per
un inserto, andare a montare un serramento. Alla sua maniera
gli voleva bene. Lo teneva sotto pressione più degli altri,
pretendeva molto di più. Tanto che, oramai, era il primo ad
arrivare al mattino e l'ultimo ad andare a casa alla sera.
Il Farioeu lo trattava come uno di famiglia, gli aveva dato
la chiave del cancello nel caso che ( cosa che non succedeva
mai ) Gin fosse arrivato prima di lui alla segheria.
Anche se non parlava mai il
Farioeu si faceva capire benissimo, con quegli occhi che
vedevano tutto e non ridevano mai e i baffi che
sembravano elettricì e si muovevano secondo l'umore del
momento. Piccolino e magro, sempre con abiti da lavoro, viveva
con una vecchia sorella nel cortile dietro la chiesa. E,
questo gli andava bene
perchè, la gente che andava dal Curato a far suonare la
campana a morto, poi passava a casa sua, a qualsiasi ora
del giorno, a ordinare la cassa. Le ordinazioni le prendeva
anche
la sorella. Sotto al portico
c'erano tre differenti casse campione : una in abete, una in
pioppo e una in noce con le maniglie in bronzo. Le possibilità
economiche e il dispiacere facevano la scelta. Gia anziano,
forse sui cinquant'anni, era considerato un buon partito. La
segheria la aveva ereditata dal padre, però lui la aveva
ingrandita costruendo un capannone sulla strada del vigneto,
mettendoci macchinari moderni che funzionavano senza cinghia.
Per paura dei ladri al sabato
sera dormiva in segheria su un grosso sacco pieno di trucioli. Non era cattivo, manteneva la sorella, che il padre non aveva mai
voluto fare lavorare convinto di poterla sposare con
qualche riccone di Milano, la aveva ereditata con la
segheria . Tutti avevano soggezione di lui. Non parlava con
nessuno e nessuno parlava con lui. I suoi operai, quelli che
erano rimasti, una decina, avevano timore di lui. Non diceva
mai niente, non sgridava mai nessuno però lavorava
come un pazzo mettendoci metà de tempo dovuto per dire : così
si fa ! Le giornate passate in segheria erano per gli operai
pesanti come dei sassi , nessuno osava alzare la testa e
tantomeno parlare fra di loro. Neanche erano diventati
amici fra loro. Finito l'orario di lavoro scappavano tutti
come dei topi.
Al Gin invece la segheria piaceva,
Gli piaceva il legno, l'odore del legno tagliato, I differenti
odori, l'odore del Pioppo, del Rovere, del Pispai, del
Ciliegio, del Castagno, del Noce. Gli piaceva toccare il
legno, sembrava vivo, non come il ferro freddo come un morto. Era
pulito il legno, Quando lo tagliavi cantava, il ferro gridava.
Gli piaceva , dopo avere misurato e tagliato, vedere
combaciare perfettamente le parti. Dai tronchi impignati in
cortile tirare fuori porte finestre, qualche mobile, gli dava
una grande soddisfazione.
La segheria era lontana dal paese,
in mezzo ai boschi del Rumanin. Andare a piedi ci voleva
il suo tempo, una ventina di minuti. Poteva aspettare il Pino
e farsi portare sulla canna, ma il Pino arrivava non tardi, ma
all'ultimo minuto, se non erano le sette mancava poco, e
invece a lui piaceva entrare per primo, accendere la luci
elettriche, accendeva la stufa per scaldare la colla, andava al
gabinetto dove c'era la luce e l'acqua ed un sapone per lavarsi.
C'erano altre case in paese con il gabinetto in casa ma non
ne aveva mai visto uno. A casa sua il camar era in fondo
al cortile e se era inverno era un dramma. Se ti veniva la
diarrea di notte dovevi vestirti e svestirti continuamente,
se poi pioveva dovevi metterti gli scarponi
perchè il cortile era un pantano.
Però era bello,se pioveva stare accucciato e sentire l'acqua
scorrere sul tetto e il vento che voleva aprire la porta
che tenevi con la corda. Sui muri e sul pavimento c'erano
dei vermi corti e tozzi che si muovevano goffamente. Se
era chiaro
aprivi la porta e le galline li
mangiavano.
Ogni tanto in segheria veniva il
Prete, Don Mario. In chiesa e in canonica c'era sempre
qualche lavoretto da fare e il Farioeu lo faceva volentieri.
Non dava soldi alla Parrocchia
ma i lavori li faceva a gratis, e in
più forniva la segatura da mettere sul pavimento della
chiesa quando pioveva e i trucioli per accendere la stufa.
Gia da un po' di tempo Don Mario aveva l'abitudine di
scambiare qualche parola con Gin, Farioeu non era contento
di questo e lo faceva capire alla sua maniera con
occhiate che sembravano bastonate. Il Gin diventava rosso e
lavorava a più non posso ma il Prete non si accorgeva neanche
e parlava, parlava, e il Gin non rispondeva terrorizzato dal
Farioeu.
Come tutti anche il Gin alla
domenica andava a messa grande. Si alzava mezz'ora dopo il
solito perchè era festa, faceva i suoi soliti lavoretti,poi
si vestiva della festa e andava in chiesa. Con Don Mario non
aveva mai parlato; solamente in confessionale quando per Pasqua
si metteva in fila per la confessione
se no era peccato mortale.
E adesso Don Mario ogni volta che
veniva in segheria lo cercava e gli domandava delle cose. Se
gli piaceva il lavoro se aveva la morosa, se aveva amici, se
voleva bene alla sua mamma, perchè non faceva sempre la
comunione, se gli piacevano le ragazze, se aveva il vizio di
toccarsi. Quando lo vedeva arrivare avrebbe voluto nascondersi,
sparire.
Dalla segheria al paese c'erano un
paio di Km. la strada passava in mezzo ai boschi lungo il
canale, costeggiava il cimitero, saliva sul ponte e scendeva in
paese.
Il Gin certi lavori era in grado
di farli anche da solo; consegnare un mobile aggiustato,
metterlo in bolla e far chiudere bene le antine, montare una
porta o una finestra, rimontare la ruote di un carro,
aggiustare una serratura. Prendeva il triciclo, caricava le
cose da consegnare
la cassetta dei ferri e andava.
Un giorno, fatta la consegna,
arrivato a tutta velocità verso il cimitero, giù per la
discesa del ponte, fatta la curva su due ruote che tanto
era vuoto, si trovò davanti la grande figura nera del Don
Mario che gli faceva segno di fermarsi; per schivare il prete
andò a finire nel bosco fermandosi tra due pini contro il
roveto della sponda del canale, La cassetta del ferri si era
rovesciata e tutto il contenuto si era mischiato sul fondo del
furgoncino. Il Prete , entrato nel bosco, si era messo tra lui
e la strada bloccandolo in mezzo al sambuco e al roveto;
voleva che andasse a casa sua ad aggiustare un
inginocchiatoio che dondava
e che sembrava che stesse per
aprirsi, Il Gin, pensando al disastro dei ferri rovesciati sul
fondo del furgoncino con tutte le viti e i chiodi divisi per
grandezza e ormai mischiati assieme, al lungo lavoro fuori
orario che lo aspettava per rimettere tutto in ordine, a quello
che avrebbe pensato di lui il Farioeu, rimase muto. Tutto a un
tratto il prete si girò e cominciò
a pisciare. Finito di pisciare tirò
giù completamente i pantaloni e si girò: se lo trovò
davanti
con la sottana interamente
sbottonata; non aveva mica pisciato, ce lo aveva duro; duro e
grosso con peli rossicci, si senti il frusciare di biciclette e
poi il parlare di donne. Due donne stavano andando al
cimitero con delle Dalie in mano e delle borse appese al
manubrio da cui uscivano le canne dei d'acquadori. Il Prete si
ricompose velocemente e , più velocemente ancora, il Gin tirò
il furgoncino sulla strada. Saltò su e si mise a pedalare come
un pazzo.
Quando entrò in segheria il
Farioeu gli si fece incontro con i baffi che vibravano, Gin
gli disse che si era rovesciato in curva però non aveva
perso niente, aveva recuperato tutto e che sarebbe stato lì
oltre orario a mettere a posto la cassetta dei ferri.
Farioeu soffiò due volte con il naso come un cavallo e si
allontanò disgustato.
Dire quello che gli era capitato
non era neanche da pensare, gli Anziani avevano sempre
ragione.il Prete...poi.
Lavorò fino a tardi. Rimise negli
scompartimenti i chiodi, le viti, uno per uno per qualità.
Da quel giorno cominciò a fare
la strada in compagnia. Si incamminava ancora presto ma prima del
ponte aspettava che arrivasse qualcuno per fare la strada
assieme. Alla sera, come gli altri, si lavava le mani di corsa
e partiva in compagnia. Ogni volta che passava davanti ai pini
guardava dentro e rivedeva.
Un giorno Farioeu disse a Gin di
andare col furgoncino in Canonica a prendere un
inginocchiatoio da aggiustare. Gin rimase imbambolato, rosso come
un gambero, paralizzato vicino alla bindella; rifiutarsi di
andare non era neanche da pensare ma lui dal Prete non voleva
andarci. Era là con in mano un asse,la bindella che girava,
bloccato dal panico, incapace di decidere cosa fare. Farioeu
lo vide fermo e gli si avvicinò e senza la abituale durezza
gli chiese : perchè ? E gin disse cosa aveva fatto il
Prete, che la cassetta dei ferri
l'aveva rovesciata per schivare il
Prete che si era messo in mezzo alla strada, che il Prete aveva
tirato giù i pantaloni e che era riuscito a scappare perchè
erano passate due donne che stavano andando al cimitero, e
che lui non voleva andare a casa del Prete, che aveva paura.
No. No. Non andare dal Prete. Vai
avanti col tuo lavoro. E stai tranquillo.
Gin tornò il ragazzo di prima.
Ritornò la contentezza del lavoro, il piacere di costruire.
Riprovò la sensazione di benessere che gli dava lo stare
dentro la segheria, Sentire l'odore
del legno tagliato, l'odore acre
della tinta quando sullo straccio imbevuto veniva tirata sul
legno, l'odore dolce della colla bianca, l'odore pungente
della pece sulle cinghie quando slittavano. E l'odore della
stufa di terracotta a quattro piani.
Poi una mattina sul presto, col Sole
che entrava dalla porta, vide Don Mario, preceduto dalla sua
lunga ombra, che si stava avvicinando a lunghi passi. Non ebbe
neanche il tempo di avere paura che il Farioeu, preso un
listello di faggio, che di solito usava per i cani randagi, si
avvicinò di corsa al Prete e cominciò a bastonarlo. Il
Prete tentò di difendersi parando i colpi con le braccia poi
scappò con la sottana che svolazzava, inseguito dal Farioeu fino
al cancello dove gli tirò l' ultimo colpo.
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