Ho
vissuto più di quelli della mia età, al mio nipotino
di
11 anni ogni tanto dico che alla sua età avevo qualche anno in più.
Che
me ne faccio di un ricordo di quando ero giovane e avevo una barca e
vincevo le corse con quelli che avevano anche loro la barca,che
magari mi ricordo di avere vinto sempre e invece non è vero, però
il ricordo lo puoi rigirare un pochino e ricordare quello che ti
piace,dimenticare il superfluo. E, magari il superfluo è la La parte
più interessante,la parte più godibile. E allora ti perdi in quelle
sere,prima di fare sera, in cui il mondo cambiava magicamente, e
l'aria del Ticino diventava immobile e tutti gli insetti erano in
giro, e le bisce d'acqua rigavano lo specchio d'acqua che sembrava un
vetro, sentivi muoversi fra le frasche del fondo bosco i grossi ratti
e gli scoiattoli, sui rami era una confusione di zampettii e di cip
cip, e gli odori erano estranei ma usuali, e allora il ricordo è un
treno che corre portandoti indietro e non si ferma, non ti ascolta e
fa come vuole.
Sono
i ricordi mìgliori, non si lasciano cambiare ma sono lì, come un
film fatto da un'altro. I ricordi di fisicità si lasciano
manipolare, l'uno diventa tre,i minuti diventano diventano ore. Ma
questi “ambientali” non si lasciano cambiare,sono così: o
prendere o lasciare.
Ogni
tanto mi lascio prendere dai ricordi fisici e mi lascio cullare, di
quella volta che ero arrivato primo,o avevo pisciato più lontano, o
avevo fatto a botte con numerosi avversari vincendoli tutti. Ma poi
ritorno ai veri ricordi e rivedo quelle sere, quelle siepi di fiori,
quei mesi di maggio,quelle musiche sentite uscite da finestre alte
di case alte, delle ragazze sulla canna della bicicletta e il
profumo dei loro capelli, del profumo dell'incenso quando
chierichetto lo bruciavo nel Turibolo e mi restava nei vestiti e i
miei amici mi annusavano sempre,orgoglioso di essere annusato.
Fino
a quando ho litigato di brutto con un altro chierichetto e a tutti e
due ci usciva sangue dal naso e il prete ci ha espulsi e noi siamo
diventati amici.
Ricordo
il mio amico Elio che di natura era bravo a disegnare e con due
tratti ti faceva un'aereo o una faccina ridente e io mi immaginavo di
essere capace come lui e facevo anch'io. O il Gigino con l'eterno
moccio all naso che a fare a botte era invincibile. O Amedeo che
raccontava storie bellissime che trovava sui libri. O il Rino che ti
diceva come erano fatte le donne.
Ci
sono dei ricordi che non vengono, e quando sento: mi ricordo il
giorno che ho fatto la prima comunione...e perchè io non la ricordo?
O la prima volta...perchè non la ricordo ? Mi ricordo della
scuola,(solo una: la elementare)di quando, schierati in file, c'era
l'alzabandiera al mattino e l'ammainabandiera alla sera. E non
ricordo l'interno dell'aula, ricordo il nome della Maestra ma non la
faccia. Ricordo i giorni che si andava a scuola a Bresso perchè la
nostra scuola di Niguarda era stata bombardata e non mi ricordo il
bombardamento. E si che abitavo vicino.
Con
un po' di fantasia uno se li può creare i suoi ricordi ma sono
sogni.
Quando
sono tornato,dopo 30 anni, in parrocchia per avere la documentazione
dei sacramenti avuti,necessari per il matrimonio, e non trovavo la
chiesa, sepolta fra i grattacieli, mi sono tornati dei bellissimi
ricordi: qua c'era il Seveso e sulle sue rive venivamo a giocare, lì
c'era l'Oratorio e il cortile dove si giocava a palla,li c'erano i
carrettini della gnaccia e dei bumbunin, là c'era l'Asilo, e subito
mi venne in mente la bastonata che mi diede una Suora. E a non dirlo
a casa se no ne prendevo un'altra.
Del
bombardamento non ricordo quasi niente,passammo
la
notte in cantina e ogni tanto c'erano degli scossoni che muovevano i
sacchetti di sabbia sulle bocche di lupo, come al solito, però quel
mattino c'erano due dell'UNPA e il Capocaseggiato che ci proibirono
di salire in casa perchè il caseggiato era pericolante,dichiarato
inagibile. Non sono salito più a casa mia, con le biciclette,che
avevamo in cantina, andammo a S. Giorgio dai parenti di mia mamma.
Ma come ricordo non è importante: una lunga notte che non passava
mai.
Meglio
il ricordo del bombardamento della settimana prima: una bomba aveva
centrato una piccola fabbrica di ostie e noi ricuperammo fra le
macerie quello che si trovava delle ostie, una cosa buonissima.
E
mi ricordo di un contatore elettrico che io avevo frugato
freneticamente per vedere come era fatto. E mi ricordo che vicino
c'era un braccio,con la manica e tutto.
Ricordi
della guerra non ne ho tanti, gli aerei in cielo piccoli e alti,
prima di scappare in cantina attrezzata come rifugio e ci venivano
anche quelli che non avevano la cantina, e il il rifugio era
lontano.
Della
cantina ricordo tutto, la scala per andare giù,la mia cantina(n.9)
il locale in fondo dove ci si ammassava tutti, i sacchetti di
sabbia,le panchine del locale rifugio.
Nella
cantina mio padre teneva una damigiana con il collo largo piena di
acciughe messe una a una a raggiera con la coda in fuori, piene di
sale che per un paio di mesi puzzavano e poi profumavano.
In
cantina avevo giocato al dottore con le bambine ma non mi piaceva.
Non mi piaceva essere visitato.
Della
prima comunione ho una foto con mio zio Guido che incrusciato mi
tiene una mano su una spalla abbracciandomi a sé, l'unico ricordo di
quel giorno. E mi arrabbio quando sento qualcuno che dice: mi
ricordo che alla prima comunione...
Di
quando si è sposata mia sorella non mi ricordo niente,solo che, non
so per cosa, in Chiesa non c'ero.
A
malapena ricordo qualcosa del mio matrimonio,non tutto. Ricordo,come
se fosse ieri sera, che sono rientrato in casa con la chitarra in
spalla. E a letto la soddisfazione del riposo,una situazione
piacevole, la migliore della giornata.
Quando
era estate andavo dai nonni a S.Giorgio che abitavano in una cascina,
con tutti gli animali. Appena entravi il cortile ne era pieno,
galline,faraone,anitre, tacchini,oche,cani, gatti,tutti in giro.
Conigli nelle gabbie, animali in stalla, cavalli, perchè mio nonno
era un trasportatore e aveva un grande cavallo con delle zampe
enormi,altissimo, che usava con un grandissimo carro con delle sponde
alte,adatte al trasporto del carbone, e altri due cavalli normali uno
nero e uno baio, e in stalla c'era anche un asinello,che non faceva
niente,mai usato.
Tre
mucche e un paio di vitelli. In una stalla apposta 4/5
maiali
e, chiuso in uno stambugio, un Verro per le scrofe. Sopra il
portico,sotto il tetto i Piccioni,belli grassi, però per mangiarli
buoni andavano mangiati nei 40 giorni.
Non
mi ricordo della scoperta femminile,ma mi ricordo
delle
prime volte a casotto,e prima di andare si facevano un paio di seghe
se no erano soldi buttati.
Quanti
ricordi ! Di belli e di brutti, ma quelli li tieni fuori ricordarli
fa male.
Come
non ricordare il Villoresi ? La prima volta che mi sono
avvicinato,bambino, a una fila di giovanotti,qualcuno nudo, e uno mi
ha chiesto-sai nuotare? E io ho fatto segno di no con la testa e lui
mi ha buttato dentro dicendo è ora di imparare,e io nuotando a
cagnò sono uscito e mi sono ributtato subito felice. Era bello il
Villoresi. Si era tutti operai e alla sera si lavavano tutti nel
canale, una cosa velocissima: si toglievano i vestiti e ci si
buttava,ci si insaponava ben bene e ci si ributtava, se si aveva
tempo si nuotava un po,si facevano dei tuffi imparandone dei nuovi,
si attraversava un paio di volte. Nei giorni festivi si andava al
Rongione cosidetto della Malpaga e quelli bravi si tuffavano ne
canale e uscivano nel Rongione che era lontano dal canale. Fu il mio
chiodo fisso,cominciai a chiedere come si faceva,un po' se la
tiravano ma alcuni no, e mi dicevano che era una cosa semplicissima:
l'acqua ti tirava dentro dovevi solo infilare le due porte: la prima
del canale ,la più difficile, e poi la seconda che passava
facilmente, e pluff venivi fuori nel Rongione!
Be...
per trovare il coraggio ce n'è voluta! Ma ce l'ho fatta! Ed era
veramente facile, bastava avere il coraggio necessario. Ma solo per
la prima volta.
Al
mattino mi alzavo,mi lavavo la faccia e c'era sul tavolo la tazzina
di caffelatte con il pane pronta da mangiare,quel profumo, di quel
caffelatte, perchè non lo sento più? E neanche il profumo di quelle
zuppe di verze e pane giallo. Giallo? C'era solo quello! Il pane
bianco si andava a comperare per le persone malate, c'era il pane
giallo che si faceva ogni venerdì, al forno comunale.
I
matrimoni si facevano così: in corteo si andava in chiesa a piedi,
poi il banchetto di nozze si faceva in cortile, salame, risotto,
pollo arrosto, qualcuno faceva il brasato, zola e torta. Quelli con i
soldi andavano in trattoria.
La
mia bicicletta era viola,di un bel viola, colore che non si usava. Ed
era nuova. Una bella bicicletta con le ruote in alluminio e i freni
orizzontali. A mia insaputa mi sono trovato padrone di questa
bicicletta. Un giorno ero andato a trovare non so chi all'ospedale di
Legnano e la bici la davi in deposito, pagavi la somma e ti dava un
numero, quando tornavi davi il numero e lui ti dava la bicicletta.
Quel giorno riportò questa magnifica bicicletta invece della mia
trappola ereditata dal mio vecchio, Mi sono ben guardato dal dire che
non era la mia, e sono tornato in un attimo a casa mia, andava che
sembrava una moto.
Avevo
una cravatta, e sapevo anche fare il nodo. Non era difficile ma c'era
gente che non lo sapeva fare. Nera con righe gialle trasversali. Ero
stufo della cravatta, anche se la mettevo poco, solo ai matrimoni
ed ai pranzi, tipo il pranzo dell'Avis, ma quelle righe gialle...
In
piazza c'era il Comando dell Gruppo faggioni, uno stormo di stanza al
Campo della Promessa, Comandante era Marino Marini, e l'albergo da
loro occupato era off limits per noi del paese. Per ogni missione che
facevano al ritorno c'era festa nei locali del Gatelli, ogni tanto
per festeggiare qualche vittoria, ma sempre per festeggiare il
semplice ritorno. Vantavano le uniche vittorie Italiane sulla Marina
Inglese con l'affondamento di due Corazzate nel porto di Alessandria.
Le feste erano a base di mangiate e di ciucche solenni.
Ma
che non dimenticherò mai è il suono della sirena a Milano che ti
mandava in rifugio,un suono che ti entra dentro e che senti non solo
con le orecchie, lo senti con il cuore,con la testa e con l'anima. Un
suono che ho risentito a Buscate nel '91,un suono sociale, e quando
lo risentivo tornavo ancora sotto ai bombardamenti, nei giorni che mi
portarono via la casa.
La
Sirena fù per Buscate la mossa vincente nella battaglia contro la
discarica.
E
mi ricordo i cani della mia vita,nel cortile dove abitavo
c'era
Cibin che era il cane di tutti, anche se era di proprietà della
Nives, morto ne portò a casa un'altro che chiamò Cibin, morto il
secondo( a quei tempi i cani duravano poco) portò a casa il terzo
che chiamò Cibin.
Purtroppo,
anche se duravano poco, ti affezionavi e ti faceva male la morte. Poi
ci fu il mitico Tony, il cane del Presidio,un vero capo, che comandò
per tre anni al Presidio di Buscate fatto per combattere la
discarica. Finita la lotta mia figlia venne a casa un giorno con un
batuffolo bianco, il Doghi, che si impossessò della mia vita per
quasi 17 corti anni.
Ho
avuto un gatto nero,a Castano, poi quando sono venuto a Buscate,
senza il suo consenso,lui è rimasto.
Ho
avuto anche due tartarughine d'acqua, che mi riconoscevano e quando
le prendevo in mano mi guardavano con gli occhietti vispi,dopo 4 anni
sono morte. Poi ha saputo che non andavano prese in mano.
Ci
sono cose che non vanno prese in mano lo diceva sempre mia mamma a
mia sorella.
E
ricordo le bisce. Dove adesso ci sono delle numerose
case,
prima passava una rongietta in mezzo a orti coltivati a insalate e
pomodori,in quella rongietta c'erano due bisce,verdi sotto e marrone
sopra, andavo a trovarle,le prime volte scappavano a nascondersi poi
con il tempo non più, non riuscivo a prenderle ma ci parlavo. Quel
mondo non c'è più. Non so se ve ne siete accorti.
E
ricordo la processioni, e i petali di rosa, la porte trionfanti verdi
di arbusti, le ragazze che tenevano gli occhi per terra, le donne
salmodianti, le bambine sul baldacchino ai piedi della Madonna, e i
profumi, e l'odore dei ceri. E i canti di maggio: mira il tuo popolo
o bella Signora. Solo gli allettati non c'erano.
Ero
stato operato, tre baypass coronarici, dopo che l'ho fatta mi ero
accorto che non era una cosa da ridere.
Mi
ricordo quasi tutto, il sabato sera in unità coronarica a Novara,
il Caposala, Carlo, che viene e mi dice: c'è fuori tua moglie che
continua a piangere. Lo so perchè piange-gli dico- quanti anni che
sei sposato ? 25-gli rispondo. Ehh.. sono tanti, ecco perchè
piange. No.. non è per quello che piange. Perchè piange,allora ?
Perchè pensa ai soldi del funerale,e quando sarà al funerale, ogni
tanto alzando gli occhi e guardandomi nella cassa scoppierà a
piangere singhiozzando,e la gente penserà : è inconsolabile, ma
invece sarà per il costo della cassa.
E
il mattino della domenica (ero un caso urgente e allora era fatto di
domenica) l'anestetista mi ha misurato i battiti ed era rmasto
perplesso, qualcosa non va? -gli chiesi- 70 battiti ! e c'era un
tono di quasi accusa. E si.. sono un po' alti, di solito ne ho 48/50.
Lei scherza-di solito entrano qua con non meno di 150 !- Bene,
bene, occorre meno anestetico, e si sentirà meglio dopo.
Dopo
morto ? Le devo dire la verità, dopo non mi interessa più.
Conti
dal 100 in giù. 100,99, 98...
Una
mano mi toccò la spalla...sono le dieci e mezza, si svegli. Aprii
gli occhi a fatica,non potevo parlare,avevo un tubo in gola, non
potevo muovermi perchè avevo la mani legate. A dire il vero ero
tutto legato,e per quello che vedevo avevo tre o quattro tubi che mi
uscivano dalla pancia. Quando fui proprio sveglio mi guardai in giro,
girando gli occhi di qua e di là. Eravamo sei letti e molte
infermierine vestite di verde che si davano da fare chiacchierando
fra loro. Una ,sempre la stessa, a intervalli veniva a mi metteva
dentro un tubo nel tubo e aspirava, facendomi un gran male. La tenevo
d'occhio ma non potevo fare niente, ero completamente nelle sue
mani.
Le
dieci e mezza di quando mi ha svegliato erano della sera di domenica.
L'ho saputo dopo, perchè lì dov'ero non c'erano finestre e c'era
una lucina sempre accesa e non si capiva se giorno o notte.
Questo
qua non gli spurga più niente,disse l'infermierina.
Poi
deciderà il dottore.
Era
lunedi,ma non lo sapevo.
Siccome
non spurgavo più, invece di rimandarmi in sala operatoria,come
pensavo io, alle 17.30 del lunedì mi tolsero tutti i tubicini e il
tubo che avevo in bocca,e mi mandarono in reparto.
Che
bello! Libero di muovermi e libero di parlare !
Le
prime parole che dissi appena tolto il tubo fu: oggi è S.Antonio.
Auguri ! Mi dissero le infermierine. O Dio disse una, mia suocera
si chiama Antonietta, e non gli ho fatto niente.
Era
una camera a due letti, il mio era vicino alla finestra,era
all'ultimo piano e a guardare giù si vedeva una pista di
atterraggio per l'elicottero,marrone gialla,rotonda. Sembrava un
centro del tiro a segno,sul tetto dell'ospedale. Almeno vedevo
qualcosa, sull'altro letto un gigante,con una faccia enorme e i piedi
che uscivano dal fondo del letto. Aveva anche lui la stessa ferita
che avevo io lungo tutto il torace,che sembrava chissà cosa ma
faceva poco male.
Stranamente
gli infermieri che lo accudivano stavano lontani e allungavano le
braccia per fare quello che dovevano fare. Poi capii il perchè.
Verso le 10 venne un dottore a fare il giro di visite che si usa fare
in tutti gli ospedali. Come sta il nostro Adelio-disse leggendo il
nome sulla cartella a piedi del letto, appena arrivato a tiro
l'Adelio gli mollò uno sganassone che per fortuna non prese bene
perchè non ci fu il KO. L'Adelio era cieco totale e il suo modo di
rapportarsi in questa situazione era questo,ma faceva male.
Al
venerdì mi trasferirono a Veruno per la riabilitazione,
una
struttura in mezzo al verde sulla strada per Borgomanero.
Equipe
di fisioterapisti eccezionale.
Lunghe
passeggiate fra boschi di castagne,dove si trovavano dei porcini
piccoli e duri.
Noi
che venivamo da Novara si fece gruppo,sia in sala pranzo che nelle
passeggiate. Uno di Novara mi disse che lui prima aveva fatto la
Carotide ed era molto peggio. Lo dileggiai e invece aveva
ragione,quanto aveva ragione.
C'era
uno che aveva fatto l'autista di Rossi,io non sapevo chi era
Rossi,ma mi disse che era quello che aveva inventato i biscotti di
Novara,diventato molto ricco per questo. Nella sua ditta ci lavorava
un certo Pavesi,che poi messosi in proprio “inventò” i Pavesini.
Nelle
passeggiate nel perimetro del parco ognuno raccontava la sua
storia,il tempo c'era.
Uno
aveva fatto 8 anni di galera,innocente ma si sa tutti lo sono, e
diceva dei carceri che aveva girato : S.Vittore di Milano,due Palazzi
di Padova, Mamma Gialla di Viterbo, Rebibbia, Piacenza, per finire a
Bollate dove,diceva, andavano gli innocenti. Diceva cose incredibili
come la cella liscia dove ti mettevano in punìzione,una cella con
dentro niente, né letto, né sedie, né water, né lavandino, liscia
appunto, e senza finestra con una luce sempre accesa,che non capivi
se era notte o giorno. Ed entravi nudo. Ogni tanto entravano in due e
ti facevano fare dei piegamenti alternati a schiaffi,10 piegamenti 10
schiaffi,10 piegamenti... Potevi starci un giorno o una settimana. E
un giorno era come una settimana. Quando decidevano che era finita,ti
facevano lavare i tuoi escrementi con una canna, poi prendevano la
canna e ti lavavano,e se era estate eri fortunato. E ritornavi in
sezione un pochino raddrizzato.
Ma
ragazzi, dicevo: quello che abbiamo subito noi è uno scherzo !
E
quello che aveva fatto il Partigiano nell'Ossola e fatta la prima
Repubblica Italiana,con i Ministeri e tutto, sotto Alfredo di Dio,
ucciso il primo giorno dell'attacco dei Tedeschi al ponte sul
Toce,come un Bamba a difendere con un fucile il ponte che entrava in
Domodossola. E parlava di Moscatelli,che avrebbe potuto aiutare in
modo decisivo,trovandosi nei paraggi,appena dopo la valle di
Macugnaga a mezza giornata di strada, che non si è mosso con suoi
Partigiani famosi per la loro capacità e forza. E la fuga dei
caporioni in Svizzera attraverso il passo di S,Giacomo,e loro a
difendere fino all'ultimo i valligiani,che li avevano sfamati in
quei giorni. Per poi mimetizzarsi tra la popolazione o scappare su
nei monti in posti inacessibili.
Belle
storie.
E
il racconto de quel diventato poi senatore e Ministro che dalla sera
alla mattina si trovò ricco sfondato, e ognuno raccontava una storia
diversa e la gente poi non credeva a niente,comunque da povero in
canna a ricchissimo in una notte. E si raccontava di feste nella sua
lussuosa villa di paese dove ti ricevevano delle ragazze nude che ti
offrivano tutto e di più,comprese strisce di coca.
Le
ragazze della palestra mi avevano messo veramente
a
posto,ero arrivato con l'acqua nei polmoni e in tre giorni me
l'avevano fatta sparire,con le mani mi entravano sotto allo sterno
facendomi un gran male, ma
l'acqua
era sparita.
I
mali te li ricordi benissimo.
Una
cosa strana:ogni tanto,8/10 volte all'anno mi veniva un terribile mal
di testa,da stare a letto al buio. Da quando ho fatto i baypass quei
mal di testa non ci sono più ! E un'altra cosa : i farmaci che
prendo mi eccitano sessualmente,ecco da dove deriva il Viagra.
Ero
in barca,una domenica e vidi qualcosa di azzurro in acqua nella lanca
dell'isola nella parte piemontese, era uno con la camicia azzurra e
pantaloncini rossi,su un piede aveva ancora un'infradito. Cercai di
girarlo ma aveva la faccia rovinata. Lo lasciai così com'era. Da
Sandrone telefonai in caserma,e dopo mezz'ora arrivarono i
Carabinieri, li portai con la Cecca dal morto,li riportai indietro,
poi li riportai a prenderlo. La Cecca aveva visto di tutto, di
solito pesce pescato di sfroso, di notte con il carburo,
contrabbando di cose molto serie, donnine allegre che facevano cose
mai viste, ma mai un morto. Venne sera,arrivò il Magistrato, poi in
caserma per il verbale. Arrivai a casa alle dieci con mia mamma
preoccupata perchè aveva saputo che facevo tardi perchè ero in
caserma. Era tutta colpa del gatto nero, che da quando c'era non ne
andava bene una. Il gatto nero rubava e non solo a casa nostra,anche
nelle altre case e mia mamma era stufa delle lamentele. Un giorno
mise il gatto in un sacco con un grosso sasso, lo legò ben bene e mi
disse va a buttarlo nel canale. Presi la bici e andai al cimitero e
dalla puntasela lo buttai in acqua. Poi tornai a casa che era ora di
mangiare e sulla porta trovai il gatto che aspettava gli aprissi la
porta.
Quasi
ogni anno nasceva il vitello e se non era di notte andavamo a vedere
ed era ridicolo vederlo a fatica mettersi in piedi.
Mi
ricordo,ero a Milano da mia zia che abitava in via Scesa, quei giorni
di Aprile che andammo tutti in piazzale Loreto a vedere i morti
appesi per i piedi alla pensilina del distributore di benzina, mi è
rimasto dentro e lo ricordo come fosse ieri. Un'altra volta Mussolini
venne a Milano ma io non lo ricordo.
Le
persone anziane comandavano, noi bambini venivamo allontanati quando
gli anziani parlavano. Ogni tanto ti tiravano qualche scappellotto ed
era buona cosa stare fuori tiro. Ora che sono anziano io,comandano i
bambini. Io, per quello che ricordo,non ho mai comandato. Nella mia
vita di coppia comanda mia moglie,se devo dire la verità e non fare
lo sbruffone come fanno tutti quando sono all'osteria.
E
mi ricordo di un bullone. Stavo cambiando gli ingranaggi del tornio
per il cambio di filettatura dal decimale al Witfuort, c'era con me
il capo,che stava parlando del più e del meno,come al solito,tirando
fuori un ingranaggio dall'albero un bullone cadde per terra e sparì
non lo vidi più. Calma... mi disse il capo, cerchiamo con calma,e ci
mettemmo tutti e due a cercare. Era un grosso bullone, di un quarto
di pollice,che non si poteva fare di nuovo anche se eravamo una
officina e in una officina si può fare tutto,ma era più semplice e
veloce farne arrivare uno dalla ditta che aveva costruito il tornio.
Lo cercammo per ore: era sparito,volatilizzato.
Certe
volte le cose hanno un'anima.
Per
due giorni lavorai su un tornio più piccolo.
Una
sera d'estate uscii in strada e c'era mia sorella ad aspettarmi e
mi disse vieni a casa subito che c'è la Zia Maria, mi alzai sui
pedali e mi trovai per terra per la rottura del manubrio,non persi
sensi ma non capivo più più niente. Il dottore da cui mi portarono
disse: portatelo all'ospedale ma,e scosse la testa, non c'è niente
da fare...gli esce il sangue dalle orecchie. Se studiava ingegneria
era meglio. Era successo qualcosa di dentro,sicuro, perchè da allora
non sono proprio per la quale. Ma sono ancora qui. In barba al
dottore, che si chiamava Barbarossa per distinguerlo da Barbanera che
era un altro dottore.
Il
manubrio lo aggiustai infilando nel tubo un pezzo di manico da scopa.
Ci
mise di più a guarire il gomito che si era scheggiato ed hanno
dovuto ingessarlo. E mi sono fatto quasi due mesi di festa. Durante
il giorno c'erano in giro solo donne,che facevano la spesa, e in
piazza c'ero solo io con il mio braccio ingessato,seduto al tavolino
dell'albergo.
Un
mio amico, eravamo inseparabili, non conosceva suo padre partito per
l'Argentina( l'america di fraschun) che lui non era ancora nato. Ogni
tanto scriveva e diceva che voleva conoscerlo,Cisar ci pensava.
Cisar
era un tipo tosto, una sera eravamo andati in un Bar di un paese
vicino a cercare uno che gli aveva fatto uno sgarbo,non una punizione
punitiva ma quasi. Nessuno lo conosceva in quel bar. Cisar si stava
innervosendo, fino a quando spense la sigaretta in un'orecchio del
primo che aveva vicino. Mai ho sentito uno urlare così, ma mai ho
visto spegnere una sigaretta in un orecchio. Cisar era così.
Senza
preparativi salutò la mamma,un bella donna che frequentava i sogni
di noi tutti, e partì per andare a conoscere suo Padre. Arrivato nel
piccolo paese dove abitava suo padre chiese un po' in giro,qualcuno
parlava un po' di italiano, ma non capì niente,solo che suo padre
era fuori a lavorare e sarebbe tornato,domani o dopo.
Dopo
tre giorni arrivò un camion senza sponde guidato da un negro,sul
cassone c'era un omone,suo padre, ciucco tradito, che nessuno riuscì
a svegliare, dopo la notte, a padre rinvenuto, venne a conoscenza che
il padre era il Sindaco, la Polizia, il Dottore del paese. E che
aveva due famiglie e faceva una settimana con una e una settimana con
l'altra.
Il
Padre lo accolse benissimo e lo fece sentire a suo agio,un giorno in
una famiglia e un giorno nell'altra, dopo una settimana lo prese da
parte e gli disse: devo mandarti a fare una cosa, anche due
rispose, gli mise in mano una foto di una ragazza,una bella ragazza,:
devi cercarla, è andata a BuonesAires e non è ancora tornata.
Si
fermò a pensare: saranno circa due anni. Devi trovarla, va !
Cisar
scoprì che B.Aires era la maggior città italiana,con
4
milioni di italiani e un totale di 11 milioni di abitanti.
Si
perse in mezzo agli italiani,ma con la sua spavalderia se la cavò
benissimo. Così mi diceva nelle sue lettere.
Poi
sposò una italiana zoppa proprietaria di due cinema, e poi non ho
saputo più niente.
Della
mia vita quello che ricordo mica tutto è piacevole, ci sono dei
ricordi tristi come la morte di mio padre; aveva 53 anni. Per il suo
lavoro aveva preso la silicosi,da due anni era a casa invalido,
perdeva sempre sangue da naso. Un giorno che ero a casa,sarà stata
domenica allora, quel pomeriggio venne uno del mio cortile in bici e
cominciò a gridare: vieni a casa subito, subito ! Sembrava che
dormisse, con la testa appoggiata sul tavolo,mia madre lo aveva
rimesso ancora così dopo che si era accorta. All'improvviso provai
di volergli bene,ma era tardi. A 53 anni, e io adesso ne ho 80!
In
quei tempi si faceva una settimana di ferie all'anno, poi furono due
settimane. Mi ricordo il primo anno: due settimane ! Grande !
Incredibile. Naturalmente tutti andavano al Ticino e il ponte era
come il mare, una quantità di gente che veniva anche da lontano,
anche da Busto, Legnano. Ci si arrivava anche in treno perchè c'era
la fermata,la stazioncina era sulla sponda piemontese,piccola,
funzionante solo d'estate. E in giro al ponte ristorantini e
banchetti che vendevano bibite,gelati,panini e angurie. Il Ticino
era il mare,per noi che non ci eravamo mai stati, era meglio. Ma noi
di Castano non ci andavamo quasi mai,avevamo la mano di andare a
Ponte di Castano,che si chiamava così ma non c'era nessun ponte.
Anche lì era strapieno. Un anno che Ceccone era a casa,di solito era
in Africa per la Torno quell'anno che era a casa decidemmo di fare
una barca.
Era
il suo mestiere,poi lavorando per la Torno sapeva fare un po' di
tutto, anche se lui era un capo e diceva di avere sotto 200 negri.
La cosa più difficile era il disegno della barca, Ceccone fece una
dima con il compensato. Comperammo la lamiera dal Carletto che aveva
una officina di carpenteria e ce la consegnò direttamente sulla
spiaggia, per farla ci vollero tre giorni, poi altri tre per
calafatarla e verniciarla, per ultimo ci scrivemmo il nome: LA CECCA.
La verniciammo di verde Era lunga 8.30 metri e larga uno e mezzo.
Una vera barca, forte e leggera,saliva le rapide che era un piacere.
Di
fronte alla barca c'era una piccola isola con un bel bosco e una
spiaggietta ottima per prendere il sole, e c'era un solo modo di
andarci:la CECCA. Tutto il giorno ero indaffarato a portare gente,e
riportarla. Un giorno che venne brutto tempo e dovemmo scappare di
corsa li misi su tutti ventuno che erano,l'acqua arrivava a due cm,
dal bordo ma la Cecca fece il suo dovere, ero orgoglioso della Cecca.
Quando
veniva sera, che erano andati a casa tutti,era l'ora migliore, l'aria
diventava ferma, tutto si fermava. Vedevi le bisce rigare l'acqua,le
trote saltare, sentivi gli
uccelli
cantare, i ratti rumoreggiare nel sottobosco, e stavi attento a non
sbattere il remo contro la barca per non fare rumore, quando veniva
scuro legavo la Cecca al suo posto e con dispiacere andavo a casa.
Mi
piaceva, nelle mattine in cui potevo, andare a fare il mio giretto.
Risalivo un pochino il Marinone fino a un filo d'acqua che usciva dal
bosco, a piedi lo risalivo tirando la Cecca,che mi seguiva
facilmente su quel rivo d'acqua,dopo un po' il rivo piano piano
cominciava ad allargarsi e dopo una cinquantina di metri già nel
bosco, c'era già l'acqua sufficiente per risalire in barca e spunto
nare. Ormai in pieno bosco il rivo si allargava e diventava un canale
con le piante che guardavano nell'acqua e potevi cogliere i loro
frutti. Faceva quasi freddo nel canale nel buio del bosco. Un canale
diritto che sembrava artificiale,tagliava il bosco di traverso per
andare a finire in una specie di slargo che sembrava un lago, del
corso principale. Slargo che sfogava in una piccola rapida che
scendeva verso l'isola,a sinistra,e la sponda piemontese a destra.
Fare il giretto ci volevano un paio d'ore, era la mia maniera di fare
passare la mattinata, in quelle splendide ticinate. Poi,piano piano,
diradai le ticinate fino a quando un anno non ripitturai la Cecca. Fu
l'inizio della fine. La Cecca doveva essere curata ogni
anno,carteggiata e incatramata specialmente il fondo che sui sassi
delle rapide veniva continuamente lesionato.
Così
finì la Cecca.
Ma
mi accorsi di una cosa: credevo che il Ticino era bello perchè avevo
la barca,invece il Ticino era bello di suo. Il Ticino andava, e noi
eravamo lì come spettatori di una processione. Noi diventavamo
vecchi, il Ticino era eterno. Il Ticino era la vita,e la barca non
c'entrava niente
Il
mio amico Giulio aveva la morosa che abitava a Cameri e allora per
facilitare la strada lei veniva sulla sponda piemontese,che abitava
vicino, e io andavo a prenderla e la portavo sull'isola dove stavamo
tutti assieme. Alla sera la riportavo,e lei era praticamente già a
casa. Quella sera restammo a cena da Sandrun,in una bella compagnia,
e facemmo anche tardi,tanto era sabato,il giorno del tardi.
Mangiammo delle rane. Risotto con le rane e rane fritte. E lei, la
Giulina, si scandalizzò a vedermi mangiare le rane tutte intere, lei
le mangiava avanzando gli ossicini. E nacque una questione: io
sostenevo che si mangiavano così e lei invece che andavano spolpate.
Alla fine lei si mostrò sicura che quando sarei andato a cagare non
avrei cagato per via degli ossicini che avrebbero ostacolato la
deiezione. E allora facemmo una scommessa: al mattino seguente ci si
saremmo ritrovati sull'isola e io avrei cagato e lei guardava sotto
per vedere gli ossicini. Tanto per dire a che livello alcoolico
eravamo arrivati; tanto è vero che quando riportai Giulina
sull'altra sponda,che era già passata mezzanotte, quando fummo
prossimi alla riva e dovevo cambiare la spuntonata, per la corrente
toccai con il remo la barca, il Giulio che era in cima sentendo il
colpo, credendo di essere arrivato,era una sera senza luna ed era
buio come la pece, il Giulio scese. Mancavano ancora una decina di
metri, in piena corrente che si era dove incominciava il Langosco.
Dio mio! Pensai, ciucco com'è el nega. Approdai alla riva e
cominciammo a chiamare,eravamo rimasti solo io e Giulina. E'
annegato è annegato,continuava a ripetere e piangeva.
Noi
di Castano non anneghiamo mai,dicevo io per convincermi, mai. Ma il
primo ad avere paura ero io. Lo conoscevo a un certo punto non
reggeva più e dovevo portarlo a casa,per fortuna io l'alcool lo
reggevo benissimo. Ne avevamo fatte di ciucche.
Giulio,
Giulio... ma non rispondeva. Giulio...
E
scendevo la sponda,che in quel punto era boschiva e non facile. Ad un
tratto sentii tossire,come uno che si era ingozzato. Sei lì ?
Giulio sei lì ? Finalmente,sacramentando, rispose sono qui. Ed era
aggrappato a una radice,non si vedeva niente ma lo sentivo
nell'acqua, Finalmente a fatica lo tirai fuori. Non ho mai provato a
portarti a casa così bagnato. Va 'fa un culo, mi disse villanamente,
e sì che era Architetto.
La
mattina dopo quando andai a cagare la Giulina non c'era.
Mio
padre ,che era veneto, di Mira, diceva che andare nel campo era
meglio. Infatti appena tiravi giù i calzoni la facevi.
Mia
cugina Norma con i soldi dell'incidente in cui era morto suo marito
investito sulla Romea mentre andava al lavoro, si era fatta la casa,
senza servizi, tanto erano abituati che non ci pensavano neanche.
Ci
sono stati dei tempi in cui la bicicletta era un lusso,praticamente
tutti ce l'avevano per andare a lavorare, ma c'era bici e bici. Quasi
tutti avevano una bici che stava insieme con lo sputo. Quando si
bucava,spesso, e bisognava aggiustarla nel cortile, con il catino
per vedere il buco, il budello era strapieno di buchi, e il copertone
peggio, con pezze di gomma o di quello che c'era, per rinforzare
che quasi quasi la ruota non girava per le pezze che uscivano dal
copertone. Era un lusso. Si metteva da parte per un anno o due dalla
piccole paghe della domenica per comperare la bicicletta. Per poi
vivere nel terrore di farsela rubare. Ci sono stati degli anni,nel
dopoguerra, che ti saltavano la strada. Erano minimo in due,sempre
di sera, si facevano dare l'orologio se ce l'avevi, e la bicicletta.
Anche straccia. Ed erano,come minimo, di due paesi più il là, se no
li vedevi girare con la tua bici.
Il
Giulio era il mio amico,non un mio amico ma il mio amico.
Alla
domenica andavamo a ballare a Oleggio con il suo Guzzino, che era una
moto che andava sempre ma aveva il difetto di sporcarsi di frequente
la candela. Non scendevamo neanche dal Guzzino: seduto dietro gli
passavo la candela pulita e lui mi passava quella sporca, e mentre
si sporcava io pulivo la candela. Per andare a Oleggio ci volevano
due candele. Andare a ballare in Piemonte era pericoloso perchè i
giovani del posto per idee loro, cercavano sempre di litighare e i
foresti le prendevano sempre. Noi eravamo solo in due ma non avevamo
paura, abituati a fare botte fin da bambini. Una sera,eravamo a
Teatro,dove al sabato e domenica ballavano, e fra un ballo e l'altro
eravamo al bar a bere il samovar, quando uno piccolino ma con due
spalle così, ci urtò, rovesciando il samovar. Questo cerca
rogne-disse ilGiulio- e appoggiò delicatamente il suo bicchiere e
con il destro,che lui era comodo, gli mollò uno sganassone
appoggiando la schiena contro il bancone, il piccolino toccò terra
prima con la testa che con i piedi.
Comandammo
altri due samovar e continuammo a bere. Il piccolino quando rinvenne
ci voleva ammazzare e lo tenevano in quattro,poi come al solito ce ne
disse di cotte e di crude,e noi mogi,per finire a bere assieme.
Diventò
un nostro amico e una domenica ci invitò a pranzo a casa sua e
conoscemmo sua madre, una ragazza madre che lo aveva tirato su da
sola, e ci raccontò la sua vita. Una bella storia.
A
Oleggio non era un amico per me, ma l'amico.
Nel
mio cortile c'era una famiglia di otto figli, dieci persone che
abitavano due locali: sotto con il camino e un grande tavolo, e
sopra con degli scaffali un giro al letto dei genitori,dove dormivano
loro, 6 maschi e due femmine, tutti già grandi, i Todaro. La sciura
Todaro al martedì faceva pasta e fagioli,incominciava al lunedì
sera, e i fagioli borbottavano tutta notte sulla brace del camino,al
mattino li passava avanzandone una brancata da mettere in ultimo e li
rimetteva in pentola con l'aggiunta di verdure e di cotica tagliata
a cubetti, e faceva cuocere,intanto tirava una pasta che tagliava
maltagliata, e quando era ora di mangiare tre minuti prima la
metteva, Un bel piattone era il mio! Era strabuona.
Un
sabato al mese facevano cuocere una testa di bovino
data
in cambio di conigli dal macellaio, la testa era cotta in grande
paiolo che avevano apposta per quello, il camino era molto
grande,come tutti i camini di una volta, e poi la mettevano sul
tavolo fatto da loro,un grande tavolo di rugura dove con il tempo le
venature erano uscite in rilievo, e tutti in giro,ci si metteva con
un coltello e si prendevano i bocconcini accompagnati dal pan
giàld,da bere i due secchi appesi al muro con il casù, di acqua e
di bragiò,ma il bragiò non mi piaceva. E si raccontavano le storie.
Poi
il Gino aveva sposato la Gina ed era rimasto in famiglia,come
facevano per il dormire non lo so.
La
Carla,,che abitava due cortili più in giù, gli piaceva andare con i
giovanotti. Poi, quando ha capito che gli
piaceva
e basta, cominciò a far fruttare la cosa. Un giorno che gli era
scaduta la patente e capitò in quel posto per comperare la marca da
bollo,si accorse di non avere soldi abbastanza,disse al signore che
aveva davanti: il gabinetto dov'è. IL signore senza parlare,fece due
passi in là e aprì la mano invitando a proseguire. Non può
accompagnarmi-disse la Carla- io ho paura.
Paura
di che? Paura. Rispose. Lasci aperta la porta-disse- e fece vedere
tutta la mercanzia. Il signore rimase imbambolato. Ti interessa? -
disse la Carla- il signore non disse ne sì ne no ma si lasciò
usare. La Carla rimase anche a dormire. Il signore era solo, aveva
un Bar con rivendita Tabacchi, situato lontano dalle case,un bel
fabbricato a due piani. Sotto il bar,con il grande locale della
rivendita, e i tavolini sempre pieni all'ora del caffè,un'altra
saletta e i bagni vicino. Un bel posto,solido di muri e tavoli, con
delle grandi finestre che guardavano su campi verdi. Ad aiutare una
ragazza che veniva di sera ed a mezzanotte andava a casa.
Carla
rimase una settimana,poi andò a casa a prendere le sue cose per
tornare e stabilirsi. Delio,così si chiamava,era un buono,facile da
andarci d'accordo. Alla Carla piaceva fare da mangiare,e cominciò a
fare dei buoni pranzetti per loro due,poi arrivò qualche cliente, e
al mezzogiorno c'erano sempre 4/5 persone, e al fine settimana
qualche merenda. Tutto faceva brodo. Una bella solida Trattoria dove
si stava bene. Il posto era un po' in fuori, al limite di un grande
parcheggio che serviva un grande posto dove vendevano di
tutto,proprio tutto. Ci si arrivava da una strada che girava intorno
al parcheggio attraversando anche una porzione di bosco.
Un
bel posto.
Dopo
un paio d'anni Delio morì, aveva un forte diabete e con i pranzetti
della Carla aumentò la glicemia,prima non ci vide più,e poi una
notte nel sonno, la sua vita finì.
Una
delle sue ultime cose sposò la Carla.
Fra
i clienti delle merende c'era un tizio giovanile con i capelli
lunghi sempre puliti, a cui piaceva ridere. Alto e
muscoloso,prestante,dai modi sbrigativi. Un bel ragazzo.
Ci
volle poco finire a letto.
Il
bel ragazzo, si chiamava Totò (Salvatore), si trasferì di sopra e
prese il posto del Delio. Piano piano venne fuori il carattere di
Totò, dominante, piacevole con chi non conosceva ma duro con i suoi.
E venne fuori anche il lavoro che faceva: aveva una squadra di
ragazzotti che mandava ad alimentare il giro fiorente delle varie
droghe che spacciava. Un giro grande. Totò aveva scelto
la
trattoria della Carla per la posizione defilata,con molte vie di
fuga. L'ideale per il suo lavoro.
Praticamente
Totò diventò il padrone. Era sempre su in camera,dove andavano i
suoi scagnozzi a prendere ordini e a portare i soldi. A mangiare al
fine settimana non venne più nessuno,e anche a mezzogiorno. Era
diventata la serva,e non sapeva come uscirne.
Una
sera venne uno, con una faccia...ma oramai diffidava di tutti, il
tizio si guardò in giro attentamente e poi prenotò per quattro,il
sabato sera alle 9.
Sabato
4 brutti ceffi vennero a cena, gente a modo,ma si vedeva che non
era gente che lavorava. Carla chiese a Totò se c'era da fidarsi da
gente così, Totò, sbruffone disse che se cercavano rogne li metteva
a posto in men che non si dica. I quattro furono molto contenti
delle cena,talmente contenti che prenotarono per il prossimo sabato
una cena per 12 persone.
Carla
era contenta della prenotazione ma preoccupata perchè sentiva che
era una compagnia non di operai o impiegati,ma gente che...
Avrebbe
avuto la protezione di Totò, almeno serviva a qualcosa.
Quel
sabato prima arrivarono i quattro che erano già venuti e
controllarono perfino i gabinetti, che Carla teneva sempre puliti,
poi arrivarono gli altri : 4 persone di mezz'etae altri 4 come i
primi: non gli avresti dato neanche la mano per paura che non te
davano indietro.
Fu
un grande successo. Il brasato andò a ruba e il Coniglio al
cioccolato pure.
Alla
fine, quello della prima sera,che era un po' il capo perchè tutti lo
ascoltavano attenti quando parlava, n venne e la invitò al tavolo:
il Dottore vuole fargli i complimenti,le disse. Il Dottore era una
persona molto affabile e con molta educazione le disse che mai aveva
mangiato un brasato così buono,e anche il coniglio era eccezionale.
Carla confusa disse che aveva
fatto
la sole due cose che sapeva fare bene, per fare bella figura. Carla
fece una gran bella figura. Il capo,come lo chiamava lei, venne a
pagare, lasciò un gran bella mancia, e quando lei chiese che tipo di
dottore fosse,sempre a caccia, essendo donna, di qualche medico
bravo, il capo disse: Carla è un Magistrato, il più alto della
città. Anche gli altri tre sono Magistrati, noi siamo la scorta. Il
posto e bello poi è in una posizione ideale: c'è una sola strada e
la possiamo chiudere con una pattuglia per stare al sicuro.
E
allora lei gli disse di Totò che non si vedeva ma c'era e
controllava tutto. Abbiamo controllato di sopra non c'è nessuno!
Vive in camera mia. In camera tua non siamo entrati.
Come
si chiama? Di che Paese è?
In
camera tua? Ci vado.
No!
E' un tipo pericoloso.
Il
capo rise, di un riso ridente,allegro. Lascia fare a me, lo posso
mandare via?
Sarebbe
come vincere al lotto.
Dopo
dieci minuti,passati con paura dalla Carla, il capo scese la scale
e, subito dopo Totò con una faccia da canne bastonato,con in mano i
suoi due borsoni.
Non
lo vedrai più, gli disse il capo.
La
sua vita cambiò da cosi a cosi. Ridivenne la padrona.
E
il Dottore come minimo una volta al mese veniva a fare una
merenda,e tutto quello che faceva andava bene, e complimenti a non
finire.
Il
capo si chiamava Ettore ed era più piccolo di lei di un paio
d'anni,ma andava bene, benissimo, e a letto era un creativo.
Carla
era felice.
Ho
fatto la sesta(era chiamata così,un corso di avviamento
professionale) a Legnano, alla Bernocchi.
C'erano
due pro. Che quando facevano loro la prima ora,prima di fare
l'appello, dicevano : Marchiori e Quaglia fuori. E a stare fuori
qualsiasi cosa facevi non andava bene, e io ero il più assiduo
frequentatore del Preside,un tipo piccolino e magrolino con gli
occhiali spessi così.
Una
volta,chissà perchè,un mio tema vinse una specie di concorso della
Scuola,,di tutta la scuola anche le classi superiori, e dovetti
andare una mattina in tutte le classi a leggere il mio tema. Penso
per punizione.
Io
avevo un solo paia di scarpe,tutti avevano un solo paia di scarpe
meno i ricchi, e mi vergognavo della mie scarpe invernali sporche e
non sapevo come fare per nasconderle,ma portavo i pantaloni corti,
non avevo ancora l'età, ed era difficile non farli vedere.
Il
tema parlava della guerra in corso e, mi sembra, che io dicevo della
fatica di andare a lavorare, contemporaneamente andavo a fare il
garzone elettricista e viaggiavo sempre con fili al collo e tubi di
Bachalite sulla canna della bici.
A
Castano Primo c'era un bel posto: L'Oratorio, li ho imparato a fare a
botte, a fumare( non dico cosa) e a rubacchiare. A dire le bugie in
Confessione.
Ero
abbastanza bravo sia a fare a botte che a rubacchiare.
Che
non ero bravo, era a giocare al pallone, A quei tempi si usava così:
i due considerati più bravi sceglievano i giocatori a uno a
uno,una a me uno a te, e le squadre erano bilanciate. Pressapoco.
Io avanzavo sempre ultimo,talmente ero scarso.
Ma
me ne fregavo,basta che mi facevano giocare io ero contento.
Per
le ragazze invece era dura. All'Oratorio non ce n'erano e bisognava
arrangiarsi, fortuna che c'erano i cortili con molte
ragazze,serbatoio di molti matrimoni. Ma io non volevo il
matrimonio,volevo la conoscenza.
E
quella bastava barcamenarsi fra finte amicizie, piano
piano,
perche era dura, la conoscenza piano piano arrivava.
I
ricordi della scuola non sono tanti. Tutti giorni si faceva
l'alzabandiera, tutti schierati in cortile in file che dolvevano
essere perfette, sul'attenti,veniva alzato il tri
colore
con lo stemma Sabaudo al centro del bianco, e alla sera,invece di
correre fuori in strada com'era nell'istinto, schierati ancora in
file perfette ma irrequiete, si tirava giu. Io, che ogni anno andavo
da mio nonno in cascina, avevo imparato che le Api non pungono di
natura, se le lasci stare non pungono. In un ammainabandiera un'Ape
mi si era posata su una guancia, io, ricordando, non ho fatto una
piega. Ero in prima fila e l'insegnante ha visto tutto, oltre
all'encomio solenne fatto prima del rompere le righe, ho avuto, il
giorno dopo in classe, un encomio scritto e un libretto di risparmio
di lt. 15, della BPM, agenzia di porta volta, che ho ancora, e chissà
se vale qualcosa ma non penso. Avevo il dubbio,,che ho ancora, che mi
avevano dato
l'encomio
più per mio Padre iscritto al PNF che per il mio gesto che trovavo
assolutamente normale.
Mi
ricordo di un buco nel muro che avevo fatto con il dito sul muro di
dietro,trovandomi all'ultimo posto. Invece di fare stupidi scherzi
con l'inchiostro del calamaio avevo fatto questo buco,,immaginandomi
prigioniero in una cantina profonda. Il buco non riuscì,perchè un
giorno lo trovai chiuso con la malta.
E
la mia evasione fallì.
L'ora
di musica la facevamo in uno sgabuzzino deposito di tavoli e sedie,
su cui andavamo ad appollaiarsi, di musica, che mi ricordi, non
facevamo niente, ma era desiderata l'ora nello sgabuzzino.
La
Carla ebbe un figlio dall'Ettore. Un bellissimo bambino, e non è
vero che tutti i Bambini sono belli.
Era
preoccupata la Carla per il lavoro che si era messo a fare
l'Ettore,che sembrava uguale uguale a quello che faceva Totò. Un
giorno, a letto, sempre le cose importanti si dicono a letto, lo
disse apertamete: ma traffichi in droga? Ettore altrettanto
apertamente le disse che erano cose che non poteva dirgli. Carla
rimase male, molto male. Andò a trovare il Dottore,e non pensava
fosse così difficile, passò da segretaria a segretaria fino a che
fu ricevuta. Il Dottore a sentire il suo cruccio fece una risata
amara, poi gli confessò che l'Ettore era il suo migliore agente e
che era in Missione e che il lavoro che stava facendo era pulito come
il culo di un neonato. Mentre pensava che il Dottore non aveva mai
visto il culo di un neonato, la Carla si traquillizzò e si pentì
dei brutti pensieri.
Ettore
aveva messo in piedi un traffico apparentemente losco, vendeva delle
false pastiglie di Estasy, innocue, un misto di Sale e Zucchero,e
andavano come il pane per il loro basso prezzo. Era tutto
organizzato dalla squadra, con lo scopo di infiltrarsi nella
organizzazione.
Al
momento giusto,fra poco, si interveniva per dare un colpo da KO.
Questo aveva detto alla Carla, tranquillizzandola.
La
nostra officina era fatta a elle, in mezzo dei due lati c'era la
stufa. Alta più di due metri, di materiale refrattario, a strati,
ed era comodo metterci le mani nel vuoto caldo quando venivi dal
freddo. Il lato sinistro era officina,il destro il montaggio e, sul
fondo, la sala prova con la vasca dell'acqua.
Voglio
dire cosa è la Cultura per me: scrivere di cultura è dire come
hanno fatto,se questa è cultura allora tutto è cultura. Mi viene in
mente l'inverno del '45/'46,duro come quello del'44/45, lavoravo con
mio padre a Legnano in una raffineria di metalli: si cominciava alle
7.00 e si finiva alle 19.00, 12 ore filate,mangiando qualcosa a
mezzogiorno senza fermarsi, abitavo a Castano e venire in bicicletta
era dura ed andare a casa peggio, ci furono due forti nevicate
quell'inverno e andare in bici era dura e lunga,si facevano del
lunghi pezzi di strada a piedi con la bici che era d'intralcio,delle
sere arrivavo a casa a mezzanotte,per alzarsi alle 4.00 per partire
per il lavoro. Un uomo di ”cultura” può scrivere di questo,ma
non lo ha mai fatto, non sa.
Una
Raffineria di metalli,in pratica si recuperavano i rottami e le
limature e i trucioli della tornitura,si dividevano per metalli e si
fondevano.
Tre
quattro volte all'anno si fondeva lo Zinco. Quando si fondeva lo
Zinco c'era una particolarità: il giorno dopo, a tutti veniva la
febbre e ogni cosa che mettevi in bocca aveva un sapore dolciastro,
ripugnante. Allora, per non metterci in difficoltà, lo Zinco lo si
fondeva al Sabato,tanto la Domenica non c'era niente da fare.
Ustionato
dai primi amori, ogni tanto mi rifugiavo in quelli a pagamento,
solamente che non ero pratico e la cosa finiva subito, e spendevo
soldi per niente.
La
Giulina, che sapeva tutto e tutto metteva a posto,di questo problema
diceva niente, alzava le spalle,ognuno trova la sua soluzione!
Ci
si sfogava un po' facendo a botte. Ma non era una soluzione.
La
Nina, Liliana Lilianina Nina, di un'altro cortile, sempre lì perchè
amica della Zaira, si lasciava toccare un po', aumentando il
problema.
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